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Gli informatori di Israele a Gaza

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Come funziona il sistema con cui Israele ottiene informazioni dai palestinesi nei loro territori?

Pochi giorni prima della fine delle sette settimane di offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, l’esecuzione pubblica di presunti informatori palestinesi di Israele, noti a livello locale come collaboratori, ha attirato l’attenzione internazionale.

Con sacchi beige sopra le loro teste, alcuni uomini sono stati posizionati in ginocchio di fronte a un muro bianco. In piedi davanti a loro, i carnefici: combattenti palestinesi armati, vestiti interamente di nero, con il passamontagna sul viso e mitragliatori AK-47 a tracolla.

Almeno 18 palestinesi sono stati giustiziati a Gaza il 22 agosto, accusati di aver fornito informazioni a Israele durante la recente guerra. Ma esattamente cosa spinge i palestinesi a collaborare con i servizi segreti israeliani e come funziona il fenomeno?

“Sotto pressione, ho assecondato le loro richieste”, ha detto un ex informatore palestinese, che ha parlato a condizione di mantenere l’anonimato. È un residente della striscia di Gaza e racconta che nel 1995 fu avvicinato da un ufficiale dell’intelligence israeliana, che minacciò di revocare il suo permesso di lavoro in Israele se non avesse divulgato informazioni sulla posizione e sulle attività dei membri di Hamas, tra le altre cose.

“Ero infelice e non riuscivo a vivere con addosso il peso di questa vergogna. Così un giorno mi sono svegliato e ho detto a mia moglie che non sarei più andato a lavorare in Israele”, ricorda l’uomo. Andò subito dalle forze di sicurezza palestinesi per confessare ciò che aveva fatto. Dopo essere stato imprigionato per qualche settimana, venne infine rilasciato e posto in libertà vigilata.

Per anni, Israele ha fatto affidamento sui palestinesi per raccogliere informazioni. Spesso i funzionari israeliani minacciano le famiglie o i mezzi di sussistenza delle persone. Oppure offrono incentivi, come ad esempio permessi di viaggio difficili da reperire o contanti, al fine di convincere la gente a collaborare.

La pena capitale è ammissibile ai sensi del Codice penale rivoluzionario dell’Olp del 1979. L’articolo 9 stabilisce che una persona può essere condannata a morte per aver agito “contro la sicurezza e gli interessi delle truppe rivoluzionarie”.

Nel 2012 Human Rights Watch ha dichiarato che “dal momento in cui sono emerse prove credibili di violazioni diffuse e gravi riguardo il mancato rispetto dell’equità dei processi, nonché maltrattamenti e torture sistematiche, Hamas dovrebbe dichiarare immediatamente una moratoria sulle esecuzioni dei condannati a morte”.

Secondo il ricercatore politico Hazem Abu Shanab, molti degli uomini che sono stati giustiziati di recente a Gaza avevano trascorso circa un mese in carcere, durante il quale, nel corso degli interrogatori, hanno confessato di aver fornito informazioni agli israeliani o di aver piantato apparecchiature di sorveglianza a Gaza.

“Uno dei metodi di reclutamento dei collaboratori consiste nel chiudere il valico di Rafah (tra Gaza ed Egitto) e nel permettere ai palestinesi di viaggiare attraverso Erez (tra Gaza e Israele), in modo tale da poter esercitare pressioni, ricatti e tentare di farli diventare collaboratori”, spiega Abu Shanab.

Shawan Jabareen, direttore del gruppo per i diritti umani palestinesi Al-Haq, ha dichiarato che gli uomini giustiziati a Gaza probabilmente non hanno avuto un processo equo, come dovrebbe essere garantito dalla quarta Convezione di Ginevra e ha invitato le fazioni palestinesi a fermare la pratica che prevede la condanna a morte per gli informatori.

Ha aggiunto che a volte Israele fa pressioni sulle esigenze umanitarie dei palestinesi con lo scopo di spingerli a fornire informazioni. “I bisogni e le malattie di queste persone sono stati sfruttati e le autorità israeliane le costringono a lavorare nei suoi apparati militari e di sicurezza. Israele è responsabile di un crimine”, ha affermato Jabareen.

Collaborare con una potenza occupante è stato a lungo considerato un atto vergognoso in molti Paesi del mondo. Nelle affiatate comunità palestinesi, le famiglie e addirittura i parenti distanti dei collaboratori sono spesso ostracizzati. “Anche in Egitto e in Siria i collaboratori di Israele sono stati spesso associati al disonore”, ha detto il dottor Nehad El-Sheikh Khalil, uno storico e professore presso l’Università Islamica di Gaza.

Mohammed Abu Hassira, trent’anni, ha detto che i social media sono diventati un luogo dove i funzionari dei servizi segreti israeliani cercano di reclutare collaboratori da Gaza. Visto il tasso di disoccupazione del 40 per cento nella Striscia (il più alto dal 2009), offerte di denaro e altri vantaggi sono una tentazione, spiega Abu Hassira. “Molti sono innocenti, ragazzi ingenui che non sanno neppure di star collaborando”, ha aggiunto l’uomo.

Secondo Abu Ahmed, interrogatore dei servizi di sicurezza a Gaza che non ha voluto fornire ad Al Jazeera il suo nome completo, spesso le informazioni richieste non danno troppo nell’occhio.

“A uno dei miei informatori è stata chiesto di fornire un semplice servizio: guardare fuori dal balcone e vedere che tipo di vestiti sono appesi in quella zona”, ha raccontato. “La richiesta appare molto innocente, ma in quel caso si trattava dell’appartamento di uno dei leader di Hamas e l’intelligence israeliana voleva sapere se c’erano abiti maschili ad asciugare fuori dalla finestra, il che avrebbe voluto dire che l’occupante stava dormendo in casa”.

In altri casi i funzionari della sicurezza di Gaza hanno fermato commercianti ai quali era stato chiesto di portare sacchi di sabbia a Erez, al confine con Israele. “Si è poi scoperto che questa sabbia serviva ai funzionari dei servizi segreti israeliani per individuare la posizione dei tunnel palestinesi”.

Sebbene la maggior parte dei palestinesi si sia dichiarata a favore delle recenti esecuzioni, molti si sentono a disagio per il modo in cui sono state messe in atto.

“Le esecuzioni sono il minimo che dovrebbe essere fatto per controllare il movimento degli informatori”, ha affermato Abu Hassira, aggiungendo però che preferirebbe che gli uomini vengano giustiziati da un ente governativo piuttosto che da uomini armati e mascherati. “Qualsiasi persona armata e nascosta da una maschera potrebbe arrivare e fingere di uccidere degli informatori mentre in realtà mette in pratica una vendetta familiare o qualsiasi altra cosa”, ha spiegato.

Il giornalista locale Fathi Sabbah è d’accordo. “Gli informatori sono traditori nazionali e l’unica soluzione per loro è la pena di morte”, ha dichiarato, “ma queste persone dovrebbero ricevere un giusto processo e dovrebbero avere il diritto di potersi difendere”.

“Chiediamo che l’Autorità nazionale palestinese e le fazioni armate del Paese intervengano per fermare queste esecuzioni extra giudiziarie, indipendentemente da quali siano le ragioni e le motivazioni”, ha detto Raji Sourani, responsabile del Centro Palestinese per i Diritti Umani, che ha sede a Gaza, tramite un comunicato.

Ma la pratica non sembra essersi arrestata, dato che le fazioni palestinesi a Gaza hanno annunciato che altri 13 informatori si sono consegnati volontariamente nelle mani dei servizi di sicurezza locali.

“I gruppi della resistenza palestinese dovrebbero essere equi e rispettare le leggi”, ha detto un giudice di Gaza che lavora sui casi degli informatori, a patto di restare anonimo. “C’è già Israele che uccide decine di noi ogni giorno”.

Mohammed Omer è un giornalista e fotografo palestinese che vive nel campo profughi di Rafah, nella Striscia di Gaza. Il suo articolo è stato pubblicato da Al Jazeera.

(A cura di Eleonora Cortopassi)

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