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Home » Esteri

Gli americani parlano con Hamas

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Un'eventuale ufficializzazione delle trattative porterebbe l'America a essere oggetto dei suoi stessi provvedimenti sanzionatori

Alti funzionati della diplomazia americana avrebbero tenuto colloqui e incontri segreti con esponenti di Hamas nel corso degli ultimi mesi.

L’obiettivo: quello di discutere e favorire un ruolo dell’organizzazione palestinese all’interno del nuovo governo di unità nazionale frutto della riconciliazione con Fatah.

A svelarlo è “BuzzFeed“, che riporta rivelazioni di un funzionario americano (restato anonimo), a completa conoscenza del back-channel che l’amministrazione Obama ha tenuto (e sta tenendo?) con il gruppo che controlla la striscia di Gaza, Hamas appunto  (l’altra fetta della Palestina, la Cisgiordania, è invece il territorio di Fatah).

I colloqui si sarebbero svolti sia attraverso scambi di lettere, che con incontri diretti, facilitati dai paesi terzi in cui vivono molti elementi della leadership di Hamas: tra questi, l’Egitto, la Giordania e il Qatar — che si era già fatto veicolo per le trattative con i talebani per il rilascio dell’unico prigioniero di guerra statunitense rimasto in Afghanistan, il sergente Bowe Bergdahl.

“La nostra amministrazione aveva bisogno di sentire da loro [Hamas] che questo governo di unità nazionale si muoverebbe verso elezioni democratiche, e verso una soluzione più pacifica nell’intera regione”, ha dichiarato l’anonimo funzionario americano.

Il governo di unità nazionale che ha giurato lunedì nel palazzo della Muqata, a Ramallah, davanti al presidente Abu Mazen, nato dalla riconciliazione delle due fazioni, è guidato da Rami Hamdallah ed è composto da figure più o meno indipendenti, che potrebbero essere definite “tecnocratiche”. Non ci sono elementi di Hamas, tuttavia il movimento ne garantisce appoggio politico.

È qui la chiave della questione: Jennifer Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato americano, rivendicando l’assenza di figure legate ad Hamas nell’esecutivo, aveva commentato dopo il giuramento che il suo paese intendeva collaborare con il nuovo governo dell’Autorità Nazionale Palestinese, annunciando che non sarebbero stati tagliati i 440 milioni annui di aiuti, già disposti nel bilancio della Casa Bianca.

Circostanza problematica, secondo Israele, che aveva commentato con parole dure la posizione americana, nel timore che potesse rappresentare un’apertura indiretta ad Hamas, anche alla luce delle rivelazioni sugli incontri segreti.

Gli Stati Uniti ufficialmente negano ogni tipo di contatto con Hamas, ma vista la reazione indignata di Israele tutto lascia pensare che dietro qualcosa di vero ci sia. D’altronde, Washington non potrebbe mai ammettere le attività di mediazione, dato che Hamas è stata inserita già da diversi anni nelle liste delle organizzazioni terroristiche internazionali — oggetto di sanzioni e misure repressive.

Un’eventuale ufficializzazione delle trattative porterebbe l’America a essere oggetto dei suoi stessi provvedimenti sanzionatori: un paradosso. Non solo, si scatenerebbe anche una bufera politica: una legge del 2006 impone lo stop del sostegno economico all’Autorità Palestinese qualora Hamas avesse ottenuto il potere nell’esecutivo. Situazione controversa, che, altro paradosso, porterebbe l’amministrazione americana davanti al rischio di agire in violazione alle proprie leggi.

Già nel maggio del 2012 erano girate voci sull’esistenza di colloqui segreti tra Hamas e alcuni paesi europei: non furono fatti i nomi, ma a quanto pare tra questi ci sarebbero stati Gran Bretagna, Francia e Olanda. A quei tempi l’avvicinamento fu rivelato ad “Associated Press” dal responsabile delle relazioni estere del gruppo palestinese, Osama Hamdan, ed era stato letto sulla scia della Primavera araba. Anche in quel caso, l’Unione Europea aveva smentito che stati membri stavano portando avanti incontri con Hamas, classificata nelle liste terroristiche dall’UE.

Gli incontri, allora come adesso, si incentravano sul rispetto dei criteri del Quartetto (ONU, USA, UE, Russia): riconoscimento di Israele e deposizione delle armi, come presupposto alla fine del conflitto israelo-palestinese.

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