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La rinascita di Al-Qaeda

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Al-Qaeda non ha mai detenuto il controllo di così tanti territori, combattenti e risorse finanziare come in questo periodo

Secondo i giornalisti del Financial Times Sam Jones, Borzou Daragahi e Simeone Kerr , l’organizzazione terroristica al-Qaeda non è mai stata così forte come ora.

In un’analisi pubblicata sul quotidiano inglese, si spiega come negli ultimi tempi le cellule di al-Qaeda abbiano segnato successi e quasi-vittorie in un arco che va dal Sahel fino al medioriente, passando per il Corno d’Africa, lo Yemen e l’Iraq. Nel 2012 mancava poco alla conquista di Bamako, capitale del Mali; nel 2013 i combattenti di al-Qaeda hanno radicalizzato il conflitto siriano assumendo un ruolo sempre più centrale nel controllo dell’opposizione al presidente Assad; il 2014 si è aperto con gli attacchi alla città di Falluja, a pochi chilometri dalla capitale irachena Baghdad.

Se in Afghanistan l’incessante lotta condotta negli ultimi decenni sembra aver ridotto il numero di combattenti attivi – sceso secondo gli osservatori militari americani sotto i 200 – il Pakistan resta il centro mondiale dell’organizzazione. La presenza nelle aree tribali ad amministrazione federale del Paese è significativa, sebbene molti analisti ritengano che il centro operativo – dove si troverebbe il leader Ayman al-Zawahiri – sia nascosto in prossimità di qualche grande città, così come fu nel caso di Osama Bin Laden ad Abbottabad.

In Iraq, e più precisamente nella provincia meridionale di Anbar, il controllo dei territori da parte dei qaedisti è un problema con cui il governo sta combattendo in questi giorni, con un’offensiva lanciata dalle truppe speciali dell’esercito. Secondo il Financial Times, le radici della ormai profonda presenza di al-Qaeda nella zona sono da ricercare nell’occupazione statunitense, che dal 2003 ha creato le basi per la parallela occupazione dei governi radicali jiahidisti, le cui cause ideologiche hanno attecchito su una popolazione che viveva in un contesto privo di regole e leggi.

La cattiva gestione del governo in Iraq, presidiato dallo sciita Nouri al-Maliki, ha poi creato i presupposti per dare continuità a certe istanze. Infine, la forte presenza nella zona si lega alle ripercussioni del conflitto siriano che ha visto la nascita di gruppi legati ad al-Qaeda a sostegno delle lotte armate dei ribelli.

In Yemen le condizioni di povertà opprimente vissute tra le montagne del sud del Paese e le mire indipendentiste delle tribù locali hanno incoraggiato lo sviluppo del forte gruppo Aqap (Al Qaeda nella Penisola Araba), comandato da Nasir al-Wuhaishi, ex segretario di Osama bin Laden e uno dei più stretti alleati di Zawahiri, considerata tra le componenti più pericolose e più attive, soprattutto nell’addestramento e fornitura di personale per altri gruppi combattenti, in particolare in nord Africa.

L’Africa, appunto. Un anno fa l’Aqim (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), guidato dal veterano della guerra civile algerina Abu Musab Abdel Wadoud, è stata vicina a prendere il controllo del Mali, mettendo i governi locali con le spalle al muro, prima di essere respinta dalle truppe francesi. Attualmente sembra vivere una fase di stanca, ma come ha affermato Stephen O’Brien, inviato speciale del primo ministro del Regno Unito per il Sahel, «nessuno dovrebbe sottovalutare l’esiguo margine che esisteva tra al-Qaeda e il loro obiettivo di cercare di prendere in consegna gli organi di un intero stato e creare un rifugio sicuro».

In piena attività, sempre in Africa, è invece al-Shaabab, integrata in Somalia, ben finanziata e operante in tutto il Corno d’Africa: respinto in patria, il gruppo ha esportato violenza nei paesi limitrofi –– basti pensare all’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi, in Kenya, che lo scorso settembre provocò la morte di più di 60 persone.

Il Comitato d’intelligence della Camera statunitense ha avviato la scorsa settimana un’indagine sulla rinascita dell’organizzazione; «La sconfitta di un’ideologia richiede molto di più di attacchi con i droni», ha ammonito il presidente del comitato Mike Rogers, deputato repubblicano dall’Alabama, definendo la scomparsa di al Qaeda un «falso narrativo».

Nell’articolo vengono poste tre domande: quanto è elastica questa rinascita, quanto è centralizzato il controllo, e quanto è forte ancora la minaccia internazionale. Una delle risposte è che al-Qaeda sia fondamentalmente indebolita, operante senza una vera leadership, ma soltanto tramite gruppi locali semi-indipendenti. A questo si aggiunge la possibilità che la brutalità delle azioni possa alienare le popolazioni musulmane autoctone. È quello sta succedendo in Siria, dove gli jihadisti che combattono per lo stato islamico dell’Iraq e al Sham stanno sterminando la popolazione civile e provocando l’opposizione e le rivolte di altri gruppi islamisti.

Tuttavia la minaccia esiste, anche perché l’organizzazione terroristica ha dimostrato grossa adattabilità e soprattutto grande consapevolezza degli errori fatti in passato. Il mese scorso Qassim al-Rimi, un comandante dell’Aqap, si è scusato per l’attentato del 5 dicembre alla sede del ministero della Difesa yemenita, che ha procurato la morte di 52 persone. In un video ha ammesso di aver sottovalutato la vicinanza di un ospedale al luogo dell’esplosione. Nel video di al-Rimi è stata riconosciuta la volontà dell’organizzazione di mantenere buoni i rapporti con le popolazioni locali, scrivono gli analisti dell’ “FT”.

La voglia di riguadagnare il sostegno popolare è riconosciuta da molti esperti come il segno del cambio di strategia nel progetto di base: adesso l’obiettivo è creare emirati controllati nei territori, per poi farli confluire in un califfato più grande. Quando l’anno scorso le truppe francesi respinsero i combattenti dell’Aqim fuori da Timbuktu, in Mali, furono trovate lettere che il leader Wadoud indirizzava ai suoi comandanti. «Il bambino attualmente è nei suoi primi giorni, sta strisciando in ginocchio, e non è ancora ben fermo sulle sue gambe», scriveva Wadoud. «Se vogliamo davvero che riesca a stare in piedi in questo mondo pieno di nemici in attesa di avventarcisi contro, dobbiamo alleviare il suo fardello, prenderlo per mano, aiutarlo e sostenerlo».

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