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Pezzi di turchi

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Laica e islamica, occidentale e esotica, moderna e tradizionalista: che cos’è davvero la Turchia?

Cristoforo Spinella, collaboratore di Repubblica e The Post Internazionale, per cui cura il blog “Lost in Istanbul”, ha raccolto una serie di interviste con cui racconta la realtà di uno dei Paesi emergenti più importanti e misconosciuti in Italia, la Turchia.

Pezzi di turchi” racconta il Paese attraverso le vicende emblematiche di turchi con una biografia straordinaria e insieme rappresentativa. Storie che restituiscono la complessità e la ricchezza di una società che non possiamo più ignorare.

Qui un estratto dell’introduzione al libro:

“Guardandola oggi, provo a ricomporre i frammenti raccolti in questi anni – quasi dieci, ormai – di frequentazioni e divagazioni in un paese che della divergenza dal cammino presunto ha fatto un suo tratto distintivo, capace di sorprendere e frustrare storici e analisti. Il puzzle è di quelli in cui un pezzo sembra mancare sempre ma non riesci comunque a non mettere le mani. Perché provarci, a unire quei pezzi, è una bella sensazione: pare di aver dato voce alle differenze che non sanno o non vogliono incasellarsi, né affermarsi una volta per tutte.

Lo sguardo di fuori, in questo, aiuta. Ho conosciuto la narrazione eroica e illuminista della liberazione di Atatürk dalle parole dei turchi che ne conservano l’effigie in capo al letto, e quella feroce e opportunista della sua repressione delle minoranze dai curdi che lo accusano di averli traditi e messi in trappola. Ho sentito, per bocca degli armeni, i sussurri contro uno Stato opprimente che nega la loro identità. Ma anche le spiegazioni convinte e appassionate dei giovani

socialisti sulle ragioni del pugno duro nei primi anni della Repubblica contro minacce che di persona non hanno mai conosciuto. E poi, per strada, ho incontrato le amiche abbracciate, a gruppi di due o tre, alcune velate e altre no, che si scambiavano però gli stessi sguardi, senza che quel fazzoletto avvolto attorno alla testa separasse per sempre – come pure molti ancora pretendono – quello che c’è sotto.

Quando poi mi sono sforzato di raccoglierle e raccontarle, queste esperienze diverse nello stesso paese, spesso nella stessa strada, non potevo trascurarlo, o ignorarlo: la Turchia è un mosaico, che si regge solo se i pezzi ci sono tutti, e tutti insieme. Altrimenti, è un’altra cosa: quella che molti, da tutti i lati, cercano di immaginare e imporre quando sono abbastanza forti per farlo. All’inizio della sua storia, come adesso.

Ecco perché queste pagine non pretendono di spiegare tutto, né di esaurire la narrazione di un paese complesso come pochi. Però, provano a far luce dando voce, intanto, a chi ha molto da raccontare. Perché sono storie personali, ma parlano a tutti, e di tutti. Ciascuna da un punto d’osservazione differente, spesso opposto, restituendo i fatti per frammenti. Parole assolute ma mai definitive: le voci della Turchia.

Quelle ripercorse nelle prossime pagine, rigorosamente in prima persona – e a viva voce, perché così è nella conservazione di gergo e specificità della lingua di ciascuno – sono quindi le tappe di biografie straordinarie che però non smettono mai di raccontare storie di vita: esperienze private che si intrecciano, in un ingorgoveramente inestricabile, con vicende pubbliche sempre rappresentative e spesso decisive. In qualche caso, veri e propri capisaldi nella storia civile della Turchia contemporanea.

Di Merve Kavakçı ho letto per la prima volta nelle cronache, diventate nel frattempo libri di storia, degli albori dell’era Erdoğan e della transizione postmilitarista.

La storia di Şafak Pavey, la brillante e coraggiosa deputata laica che ne rovescia la prospettiva, è nota a tanti, in Turchia. Come conosciutissimo è Barbaros Şansal, stilista – anzi, disegnatore di vestiti, ci tiene a precisare – e icona provocatoria del mondo omosessuale e non solo. Il nome di Zeynep Fadıllıoğlu si trova già nelle guide turistiche, che le rendono omaggio come prima – e unica – donna ad aver progettato una moschea. La sua fama, Aynur Doğan la deve invece a una voce profonda diffusa da dischi e film, ma anche alle peripezie con l’occhiuta e spesso ossessiva censura verso la cultura curda. Aris Nalcı l’ho conosciuto occupandomi del caso della morte di Hrant Dink, giornalista turco-armeno ucciso a Istanbul nel gennaio 2007: una vicenda spartiacque per la democrazia interna. Tutti quanti raccontano e si raccontano, per provare a sciogliere l’enigma Turchia.”

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