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Home » Esteri

Perché non andrò ai Mondiali di calcio 2014 in Brasile

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Intervista con Carla Dauden, filmmaker brasiliana che ci racconta perché nel suo Paese la lotta continua e qual è il ruolo dell’arte nel cambiamento politico e sociale

Nel giugno del 2013, durante lo svolgimento della Confederations cup, numerosi brasiliani sono scesi in piazza per protestare contro la classe dirigente del Paese, accusata di non aver saputo investire il denaro lì dove ce n’era più bisogno. Giorno dopo giorno le proteste hanno cominciato ad assumere i tratti di un vero e proprio movimento, poggiato principalmente su quattro punti fondamentali: inefficienza del sistema dei trasporti pubblici, situazione drammatica della sanità pubblica, grande iniquità nella distribuzione del denaro ed elevato coefficiente di analfabetismo.

Le proteste dei brasiliani, al grido di “Meno World Cup, più salute e istruzione” continuano anche in questi giorni, con l’occupazione di uno stadio da parte di un gruppo di insegnanti nel corso della visita degli ispettori della FIFA. C’è stato un momento, quest’estate, in cui la voce dei brasiliani è giunta in tutta la sua potenza ai media internazionali, oggi invece sembra che tutto sia finito. Sembra. La nostra intervista a Carla Dauden, la filmmaker che aveva deciso di prender parte alle proteste pubblicando un video su youtube superando nel giro di pochi giorni i due milioni di visualizzazioni, ci ricorda perché in Brasile la lotta continua, e qual è il ruolo dell’arte nel cambiamento politico e sociale.

Il 17 giugno 2013 ha pubblicato il suo primo video, realizzando oltre 2 milioni di clic in tre giorni: la sua intenzione era quella di far conoscere al mondo le motivazioni che spingono i brasiliani in piazza, si reputa soddisfatta?

In realtà il mio video è stato realizzato prima che le proteste assumessero una portata così grande e non è collegato a esse in maniera diretta, anche se comunque le appoggio. La mia intenzione era di creare consapevolezza, e conseguentemente generare una pressione tale da cambiare le cose, quindi sì, sono soddisfatta dell’attenzione che il video ha ricevuto, ma sarò pienamente soddisfatta soltanto quando si cominceranno a vedere cambiamenti reali.

Un’inchiesta del “Der Spiegel” ricorda la storia di uno degli alberghi più lussuosi del Paese, l’hotel Glória, a Rio de Janeiro. Cinque anni fa il miliardario Eike Batista ha comprato l’hotel con in mente progetti straordinari: ha assunto i migliori architetti del mondo con l’idea di costruire un resort di lusso entro l’inizio dei mondiali del 2014. Ma i soldi sono finiti, i lavori sono stati interrotti e adesso l’hotel è in balia di se stesso. Questo esempio rispecchia un po’ quello che è successo in Brasile nell’ultimo decennio: fino a quando le cose sono andate bene e il Paese è cresciuto con una percentuale del 4 per cento l’anno, l’ottimismo ha adombrato i problemi; terminata la fase di crescita sono arrivati i nodi al pettine e il gigante sudamericano è entrato in crisi. Qual è la sua opinione al riguardo?

Una delle principali critiche che mi viene rivolta è il non aver parlato della crescita economica che ha interessato il Brasile negli anni passati, come anche dell’aumento del nostro PIL, e non nego che la nostra economia stia effettivamente crescendo in questo senso. Tuttavia, la verità è che noi abbiamo problemi sociali, strutturali e politici che incidono sul modo in cui i soldi sono distribuiti e vengono utilizzati, quindi non credo che si tratti di quanto noi disponiamo, ma piuttosto del fatto che la maggior parte del denaro è concentrata nelle mani di poche persone. Per questo motivo credo che la crisi sia frutto principalmente della frustrazione che nutriamo nei confronti delle ineguaglianze sociali, dell’inefficienza e della corruzione che dilaga nel Paese, nonché delle carenze insite nella nostra sanità pubblica e nel nostro sistema educativo.

Giorno dopo giorno le manifestazioni si sono trasformate in un vero e proprio movimento di protesta. I punti fondamentali a cui vi appellate sono: la distribuzione iniqua della ricchezza, la situazione drammatica in cui versa la sanità pubblica, l’alto coefficiente di analfabetismo e le condizioni disastrose dei trasporti pubblici. Il governo ha prima cercato di reprimere le proteste per poi, in un secondo momento, dichiararsi favorevole alle voci che chiedono il cambiamento. Come leggete voi brasiliani questo tipo di comportamento?

Con molto sospetto, sia nei confronti dei media nazionali che del governo, che in un primo momento hanno condannato il movimento focalizzandosi soltanto sulla violenza, e che in un secondo momento lo hanno appoggiato cercando però di ritrarlo come un bel movimento esteso ma privo di un obiettivo preciso. Adesso, di nuovo, i media stanno ritraendo i manifestanti come persone violente e irragionevoli, e stanno allontanando l’attenzione da quello che è il punto focale principale e dal vero significato di queste manifestazioni. Le manifestazioni violente sono state poche in confronto alle dimensioni che ha assunto il movimento, ed è scorretto minimizzarlo a causa di pochi che non necessariamente rappresentano la maggioranza dei gruppi coinvolti. Inoltre, certo, sarebbe meglio che le proteste fossero prive di atti di violenza, ma noi stiamo cercando di cambiare il Paese, e cambiamenti di questa portata non sono mai facili e privi di conseguenze indesiderate. Per questo siamo ancora preoccupati delle posizioni del governo e dei media, anche se fortunatamente, sembra che essi si stiano aprendo sempre di più nei confronti di ciò che abbiamo da dire, probabilmente perché hanno paura di queste grandi pressioni, e ciò rappresenta qualcosa di positivo.

Il 22 giugno Dilma Rousseff ha fatto un discorso alla nazione promettendo una serie di riforme che toccano proprio i tre temi più caldi che infiammano gli animi dei manifestanti: trasporti, educazione e sanità. Come pensa evolverà la situazione? Cosa si aspetta dai politici? 

È ancora piuttosto difficile sapere come evolverà la situazione, di molte cose si sta ancora discutendo e molte persone solo ora stanno cominciando a formare una propria opinione politica e a essere più impegnate e informate su quello che sta accadendo. Ad ogni modo, credo che abbiamo già fatto molta strada. Abbiamo mostrato al governo che adesso controlliamo le loro decisioni in modo più critico e attivo. Mi aspetto che i politici mostrino di essere davvero intenzionati a cambiare e migliorare le cose, ma il grosso punto interrogativo è: lavoreranno realmente per realizzare in modo concreto questi cambiamenti?

Dilma Rousseff ha abbassato i tassi di interesse per cercare di stimolare l’economia. Così facendo ha generato una crescita dell’inflazione che ha comportato un aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei servizi. Come vivete nella quotidianità una situazione di questo tipo?

Io non vivo in Brasile e così è difficile dire in che modo ciò influenzi la mia vita. In ogni caso, è vero che l’inflazione è aumentata, ma i nostri tassi di interesse sono storicamente alti e l’intenzione di abbassarli non è un’idea necessariamente sbagliata. Ciò che mi preoccupa di più non è soltanto l’inflazione, ma il promuovere il nostro sistema di credito verso il consumismo, specialmente considerando ciò che è accaduto negli Stati Uniti e in Europa. Per quel che mi riguarda, un’ economia basata principalmente sul consumismo può essere molto fragile se non è sostenibile.

Dilma Rousseff ha un passato da guerrigliera e rivoluzionaria: negli anni della dittatura militare ha partecipato attivamente alla lotta armata, tanto da essere arrestata e torturata dalle milizie brasiliane. I cartelli che alcuni manifestanti alzano al cielo citano una frase che probabilmente rispecchia il pensiero di molti: “Dilma, ma non eri una di noi?”. Eppure molti dei provvedimenti attuati in questi anni di governo fanno pensare al contrario. Non c’è stata una risposta decisa alla forte crescita dell’inflazione, si è deciso di alzare le tariffe dei biglietti degli autobus quando la maggior parte dei brasiliani è costretta a convivere con una situazione disastrosa che caratterizza il sistema dei trasporti pubblici. In generale, il governo sembra abbia dato priorità a elementi secondari. Qual è la sua opinione sull’operato dell’attuale presidentessa del Brasile?

A quel tempo molte persone erano schierate contro la dittatura militare, e unite l’hanno combattuta. Tuttavia, c’erano differenze tra di loro, e non appena la dittatura è terminata c’è stata una scissione in diversi gruppi. Dilma ha effettivamente combattuto contro la dittatura militare, ma oggi non ritengo che sia un politico di sinistra come lei sostiene di essere, soprattutto se consideriamo l’attenzione che mostra verso la crescita economica (da realizzare a ogni costo), che, a proposito, non ha avuto grande successo. Le sue decisioni rispecchiano maggiormente ideologie liberali, per non parlare degli interrogativi sui diritti umani che costantemente emergono dalle sue scelte politiche, in particolar modo riguardo agli indiani che vivono in Brasile e l’impianto idroelettrico di Belo Monte. Soltanto questo mese, dopo molti anni di proteste, Dilma Rouseff ha incontrato per la prima volta i rappresentanti dell’organizzazione indiana. Dilma ha anche costruito una grande alleanza con i membri del Congresso, cosa che sta continuando a limitare la sua governabilità. Personalmente mi trovo in disaccordo con le sue politiche e con il modo in cui governa, ma penso che adesso stia provando ad ascoltare e a rispondere a ciò che le persone vogliono, è solo che non sono sicura che le sue intenzioni siano pure.

Prima della Rousseff, il Paese è stato governato per quasi dieci anni da Luiz Inácio da Silva. Lula – questo è il suo soprannome – proveniva dal popolo, e incarnava appieno gli enormi problemi che caratterizzano l’educazione brasiliana, essendo stato uno dei presidenti meno istruiti della storia del Paese. Il suo slogan “Para um Brasil decente” la dice lunga sulle sue intenzioni politiche. Durante il suo mandato sono stati varati numerosi programmi sociali per i poveri che hanno consentito a milioni di brasiliani di accedere al ceto medio. Famosissimo è il programma di assistenza sociale “Bolsa Familia”, che prevede aiuti finanziari alle famiglie povere e garantisce ai bambini l’accesso all’istruzione. Nel 2006 Lula venne riconfermato presidente cominciando così il suo secondo mandato. Il popolo brasiliano come giudica il presidente Lula? In che modo secondo voi il suo operato ha influito sulla situazione in cui versa il Brasile oggi?

Le persone che vivono in Brasile hanno opinioni diverse sul presidente Lula. Io credo che lui, da un lato, abbia realizzato alcune cose buone che meritano riconoscimento, ma dall’altro, da populista, a Lula piaceva l’immagine di un governo guidato da una sola persona, e si dipinse come un eroe delle masse. Per me, questo modo di fare politica tende a snaturarne il senso, e a essere troppo semplicistico. Lui è stato effettivamente un simbolo di speranza per le masse, l’accesso di molte persone al ceto medio fu una vittoria, e programmi come la “Bolsa Familia” meritano di essere lodati, ma questa distribuzione del denaro non è andata sempre di pari passo con una educazione e un sostegno adeguati, così, in qualche modo, si è trattato di una soluzione a breve termine, in particolar modo se consideriamo che Lula ha incoraggiato una società consumistica, che può risultare pericolosa per la nostra economia. Allo stesso modo di Dilma, lui ha voluto incoraggiare a ogni costo lo sviluppo economico, per esempio portando la coppa del mondo in Brasile. Come ho detto nel primo video, non sono d’accordo che la coppa del mondo sia realizzata in Brasile in questo momento, e credo che fu una decisione sbagliata volerla. Quindi anche se Lula ha contribuito con cose buone all’attuale situazione del Brasile, credo ancora che molto di quello che ha fatto è stato fatto in modo troppo superficiale e “per apparire”, ma sembra che adesso le persone stiano cominciando a rendersene conto.

Tra le cause scatenanti delle proteste vi è senz’altro la scelta del governo di aver voluto investire cifre astronomiche nelle due competizioni sportive che porranno il Brasile al centro dei riflettori negli anni a seguire: i mondiali di calcio l’anno prossimo e le olimpiadi nel 2016. Quali sono secondo lei i motivi principali per cui si è trattato di investimenti sbagliati?

In termini di crescita economica, non credo che saranno necessariamente investimenti sbagliati, ma ritengo che prima di pensare a come portare altri soldi nel Paese sia più importante cominciare a risolvere i seri problemi legati all’utilizzo e alla distribuzione del denaro. Noi già disponiamo di denaro; il problema è che o è concentrato nelle mani di pochi, o viene dirottato dal governo. Se noi avessimo una sanità pubblica e un sistema educativo decenti, probabilmente non ci sentiremmo così frustrati all’idea che diversi miliardi vengono spesi per realizzare stadi mentre ci sono persone che non possono neanche ricevere cure mediche. Per di più, i soldi provenienti dalla coppa del mondo andranno principalmente nelle tasche di coloro i quali hanno già i soldi e verso la FIFA, che sta guadagnando tutti i suoi soldi dai biglietti e dalle vendite effettuate negli stadi senza neppure pagare le tasse sui loro guadagni. Inoltre, a causa della corruzione che imperversa in Brasile, la coppa del mondo sta già costando molto di più di quanto era stato previsto, cosa che colpisce davvero il bilancio finale.

Un proverbio brasiliano recita “tudo acaba em samba” (tutto finisce in una samba). Sembra che la situazione dei politici e dei potenti in Brasile rispecchi molto il senso di questo proverbio; raramente essi sono costretti ad assumersi le proprie responsabilità. Cosa ne pensa?

Credo che troppo sia finito a suon di samba, ma spero davvero che andrà meglio dopo queste manifestazioni e dopo che la coscienza politica ha cominciato a crescere. I politici hanno goduto di molta tranquillità perché, nonostante le lamentele, la maggior parte delle persone non ha fatto molto per cambiare la situazione e in generale è stata piuttosto indulgente e ha dimenticato facilmente. Adesso, penso che abbiamo mostrato che siamo interessati a quanto accade, e che controlleremo le loro decisioni e le loro azioni.

Le proteste hanno portato alla luce gli enormi problemi che caratterizzano da tempo il tessuto sociale del Paese, ma hanno anche rappresentato un forte stimolo di riflessione e di volontà di cambiamento. Ogni momento di difficoltà può rappresentare una sfida, un’occasione. Crede che i politici e la classe dirigente del Paese sapranno cogliere l’opportunità che voi brasiliani gli avete messo dinanzi?

Lo spero, e credo che la nostra pressione sia tale da costringerli a cogliere questa opportunità. Tuttavia, per realizzare dei cambiamenti significativi dovremo anche cambiare culturalmente ed essere meno individualisti e meno affrettati. Abbiamo bisogno di ragionare a lungo termine, e dobbiamo davvero chiederci che tipo di Paese vogliamo costruire per le generazioni future. Questo richiederà del tempo e richiederà che i politici e la classe dirigente siano meno egoisti e avari, ma il risultato potrebbe essere meraviglioso qualora riuscissimo nel nostro intento.

La sua grande passione sono i film e il cinema. Non a caso ha deciso di prender parte alle proteste pubblicando un video su youtube. Quale pensa che sia il rapporto tra l’arte, o i media, e l’attivismo sociale? Che ruolo hanno gli artisti nei movimenti di protesta?

L’arte è sempre stata una parte delle più grandi proteste e movimenti della storia; è uno strumento potente che ha la capacità di unire le persone, forse perché la maggior parte di noi ha la possibilità di vedersi rappresentata dalle opere d’arte che esprimono i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Ai giorni nostri, grazie a internet i media sono diventati molto più democratici, e questo rappresenta un beneficio enorme. Messaggi simili al mio possono essere diffusi in tutto il mondo nel giro di pochi giorni, le persone hanno maggiore accesso alle informazioni per potersi impegnare nel sociale, e hanno l’opportunità di venire a conoscenza di progetti a basso budget o opere d’arte che non sarebbero state viste in tempi in cui non esisteva ancora internet. È difficile definire un ruolo per gli artisti, in quanto impegnarsi nel sociale non dovrebbe rappresentare un obbligo semplicemente per il fatto di essere un personaggio pubblico o un artista. Ad ogni modo, per coloro i quali vogliono contribuire alla formazione delle opinioni altrui e alla diffusione di una volontà di cambiamento, è fondamentale essere informati e consapevoli della responsabilità che proviene dalla forza dell’essere visti, letti, o ascoltati da molte persone.

(Qui sotto il video realizzato dalla filmmaker brasiliana)

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