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L’America che spia

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Dei documenti segreti confermano che NSA e FBI stanno controllando le chiamate e le attività online degli utenti

Questo articolo è l’aggiornamento di un precedente post dal titolo “L’America che spia le chiamate”. 

Il governo americano e soprattutto i rami della sua intelligence hanno iniziato la conta dei feriti. In un giorno solo, giovedì 6 Giugno, sulla National Security Agency (NSA), l’FBI e l’intelligence in generale si sono abbattuti due grandi e complementari scandali che riguardano direttamente libertà e privacy dei cittadini da una parte; e lotta alle minacce dall’altra. Obama ha provato a difendere tutto e tutti, commentando le notizie con la sua solita fermezza quando è ballo la sicurezza del Paese. Ha detto, in una specifica conferenza stampa tenutasi venerdì 7 Giugno, che «nessuno sta ascoltando le vostre telefonate», che non c’è niente di segreto perchè il Congresso ne era informato e che il sistema serve a mettere  al “sicuro” gli americani. Non è però possibile, secondo il Presidente, «coniugare il 100 per cento di sicurezza con il 100 per cento di rispetto della privacy». Le critiche, neanche a dirlo sono piovute ancora più a dirotto, tanto dall’opposizione quanto dai suoi stessi sostenitori. C’è chi dice che «adesso addirittura il New York Times parla come il Tea Party». 

Ma proviamo a mettere ordine, spiegando bene tutta la questione. Il primo scandalo, in ordine di pubblicazione, è stato lanciato dal The Guardian, giornale britannico, che ha ottenuto e mostrato un documento che autorizza l’NSA a controllare i tabulati telefonici degli utenti di Verizon (compagnia telefonica americana) tra il 25 Aprile e il 19 Luglio di quest’anno. Tre mesi in cui ogni giorno l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale può accedere a tutti i meta-dati delle chiamate degli americani, in America e anche all’estero. Non intercettano, quindi, il contenuto delle chiamate, bensì tutte le informazioni a latere: numeri di telefono, durata, luogo, frequenza, interazioni, statistiche e quant’altro. L’autorizzazione è stata data dal Foreign Intelligence Surveillance Court, la quale chiede esplicitamente a Verizon di non darne notizia in nessun modo; e ricade sotto le disposizioni del Patriot Act, una discussa serie di provvedimenti emanati dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 con lo scopo di fornire al governo e alle sue agenzie tutti gli strumenti necessari per potenziare la lotta al terrorismo.

L’NSA, in realtà, era abiutata ad accuse del genere: nel 2005 infatti uno scoop del NY Times confermò che George W. Bush, allora presidente, aveva autorizzato l’Agenzia a intercettare le telefonate, anche il loro contenuto, ma solo se effettuate verso o ricevute dall’estero. Questo nuovo scandalo però è la prima prova ufficiale che l’attività di monitoraggio, seppure in forma diversa, continui anche durante l’Amministrazione Obama. Alcune voci che si rincorrono tra i corridoi di Washington però sono ancora più chiare: l’NSA non ha mai smesso di controllare le chiamate, e questa è solo l’ultima di sette anni di autorizzazioni; come dice Dianne Feinstein, la democratica a capo del Comitato di Intelligence del Senato americano. Un’altra ipotesi plausibile ma non confermata è che non solo Verizon sia coinvolta ma anche tutte le altre compagnie telefoniche che operano in America. 

Il secondo scandalo è arrivato qualche ora dopo quello di Verizon. Washington Post e Guardian hanno ottenuto una serie di 41 slides top secret risalenti ad Aprile 2013, che appartiene ai servizi segreti ed è servita per istruire nuovi ufficiali. Le slides parlano, senza giri di parole, di PRISM, una sorta di canale preferenziale che l’NSA ha per accedere ai server delle principali compagnie internet americane. Stiamo parlando di Windows, Skype, Apple, Google, Facebook, Aol, Youtube, Yahoo e Paltalk. Accesso diretto e preferenziale che permetterebbe all’Agenzia di tracciare e ottenere tutte le informazioni di cui ha bisogno, dalle email alle video-chiamate, gli status e i file condivisi. Il progetto costa 20 milioni all’anno e si espande di volta in volta coinvolgendo nuovi operatori, tanto che in futuro dovrebbe essere coinvolto anche Dropbox. Operatori che “volontariamente” aprono le loro porte al Governo. Sembrerebbe poi, stando a un altra esclusiva del Guardian, che anche il Regno Unito sia coinvolto, e in particolare il Government Communications Head Quarter (l’agenzia preposta alla signal intelligence) che accederebbe ai dati del PRISM dal 2010. In realtà, fatto salvo le poche notizie arrivate fin ora, ci sono ancora molti dubbi sulla tutta questa questione. 

Dubbi che vengono sottolineati dagli stessi attori tirati in ballo. Inanzittutto, tutte le compagnie coinvolte hanno negato di conoscere il progetto e di averne preso parte; secondo, l’intelligence americana sta cercando di sgonfiare gli scandali aggiungendo informazioni chiave alle questioni. 

Prima e meglio di tutti ha parlato James Clapper, direttore della National Intelligence (cioè coordinatore delle attività di intelligence americane). Dopo aver definito i leak (perchè qualcuno dentro le agenzie deve essersi proprio fatto scappare quei file) un gesto “riprovevole” nei confronti della sicurezza nazionale e averlo dichiarato che questo “mette a rischio i cittadini americani”, ha aggiunto un dettaglio non da poco sulla questione.

Stando alle sue parole, infatti, il programma PRISM rientra nella sezione 702 del Protect America Act (un emendamento al Foreign Intelligence Surveillance Act). Cosa significa questo? Andando a spulciare le carte si scopre che il provvedimento permette solo il raccoglimento di informazioni riguardanti cittadini non americani che si trovano al di fuori del suolo americano. O Clapper mente sapendo di mentire (ma a questo punto anche Obama starebbe mentendo, perchè dopo Clapper ha sostenuto in pubblico la stessa posizione) o il clamore mediatico sta esagerando la questione. 

Nonostante la mancanza di chiarezza totale sulle due questioni, i dubbi rimangono. Il trade-off tra sicurezza e privacy sarà probabilmente uno dei temi più caldi da qui alle prossime settimane, così come lo è stato nel recente passato. Le spie di Obama hanno più volte affermato che la continua sorveglianza ha fatto sì che alcuni attacchi terroristici fossero sventati in anticipo, così come decisivo è stato l’apporto degli impianti di sicurezza (videocamere di sicurezza private) per rintracciare i terroristi della maratona di Boston. È però giustificato spiare e accanirsi su tutti? Giornalisti (ricordiamo il recente scandalo AP), partiti (il fisco e lo scandalo Tea Party) e soprattutto privati cittadini? Il continuo stato di sorveglianza certo non fa dormire sonni tranquilli ai cittadini americani, che ormai hanno smesso di accettare “ogni possibile strumento” per combattere il terrorismo o qualsivoglia minaccia. I tentativi dell’intelligence di rendere tutto meno intrusivo non sono che un pretesto per rendere tutto meno visibile. Certo, non si avranno le conversazioni complete telefoniche, ma basta l’analisi e l’incrocio di qualche dato telefonico per risalire alla maggior parte delle informazioni personali di un utente. E anche se PRISM controllasse solo gli stranieri, niente può bloccarli da intercettare tutte le iterazioni che quella persona ha con individui americani. 

Molti da fuori i palazzi di Washington –ma anche dentro, visto che i documenti sono usciti da lì– hanno contestato e  contesterrano queste decisioni e provvedimenti. Forse finalmente l’America rallenterà la sua corsa verso il 1984

Ha contribuito Nicolas Lozito.

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