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Leadership senza frontiere

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In Kenya il nuovo presidente e vicepresidente sono incriminati dalla Corte Penale Internazionale.

L’altro ieri in un pezzo di opinione del Nation, il principale quotidiano del Kenya, Charles Omondi, che per questo quotidiano lavora come giornalista da oltre vent’anni, scriveva: “Ogni volta che mi capita di visitare un altro Paese sub-sahariano, penso che il governare un Paese sia una cosa troppo complessa per un africano.”

L’articolo continua con un quadro di situazioni che si possono ritrovare a Kinshasa come a Nairobi, a Lagos, a Bujumbura: spazzatura ovunque, venditori ambulanti che vendono illegalmente di tutto, anche cibo in condizioni igieniche allucinanti, trasporto pubblico in condizioni vergognose con conseguente inquinamento a livelli tossici, elettricità erratica. Potremmo aggiungere acquedotti senza acqua, servizi scolastici e sanitari ampiamente inadeguati e troppo costosi per la maggioranza dei cittadini, e la lista non sarebbe finita.

Omondi conclude: “In quasi tutti gli stati africani c’è almeno una sembianza di democrazia. È tempo che gli elettori si ribellino a questi leader incapaci… Si eleggono persone in posizioni di potere solo perché appartengono alla propria etnia, o perché hanno promesso cose impossibili, e ci si trova condannati a essere governati per sempre da ciarlatani che proclamano le sovranità nazionale, ma vanno a far shopping a Milano, vacanze a Parigi, mandano i figli a studiare a Londra, e si fanno curare a New York.”

La riflessione sulla qualità della leadership si impone mentre in Kenya incomincia il governo di un presidente e vicepresidente incriminati dalla Corte Penale Internazionale, e le notizie più comuni riportate dai giornali in Kenya riguardano episodi di corruzione.

Omondi, che è nato dopo l’indipendenza del Kenya, non si rifà alle colpe del colonialismo, anche se avrebbe potuto legittimamente farlo perché sono colpe che peseranno ancora per qualche anno su tutte le ex-colonie.

L’Africa post-coloniale ha espresso due grandissimi leader, Julius Nyerere in Tanzania e Nelson Mandela in Sudafrica. Ci sono stati altri leader che non hanno avuto il tempo di esprimere le loro potenzialità perché uccisi da forze coloniali o neo-coloniali, come Amilcar Cabral in Guinea Bissau e Thomas Sankara in Burkina Faso, ma c’è anche una lista troppo lunga di cleptomani o criminali che sono stati al potere per anni e hanno permesso o favorito la formazione di una classe di politici e amministratori profondamente corrotti. Peggio, la corruzione è diventata accettabile, inevitabile, in ogni rapporto fra il cittadino e lo stato. Devi pagare sottobanco un funzionario per rilasciarti un documento, magari la carta d’identità, a cui hai diritto.

Wole Soyinka, lo scrittore nigeriano e premio Nobel, aveva già detto nei primi anni delle indipendenze africane che il problema fondamentale dei nuovi Paesi era la leadership. Sono passati oltre cinquant’anni e il nodo cruciale per lo sviluppo dell’Africa resta lo stesso, secondo Omondi. Gli africani, nella stragrande maggioranza persone buone e pacifiche, negano il detto che i popoli hanno i leader che si meritano.

“Ma forse – mi dice un amico africano che conosce bene l’Italia – alla fin fine è cosi per tutti. Guarda il tuo Paese, non avete anche voi i vostri leader tribali? È raro che si eleggano i leader migliori, finiamo sempre per eleggere i mediocri, se non gli arrivisti. Abbiamo tutti un lungo cammino da fare.”

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