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Perché è stata importante la votazione “nucleare” al Senato statunitense

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I repubblicani hanno cambiato le regole del gioco pur di far eleggere Neil Gorsuch, il giudice scelto da Donald Trump per la Corte Suprema

Il 6 aprile 2017, con la notizia dell’attacco statunitense in Siria, un altro importante avvenimento nella politica statunitense è stato quasi ignorato al di fuori dei confini americani. Si tratta di una notizia che potrebbe mettere profondamente in discussione ciò che finora è stato il modo di governare dei due partiti negli Stati Uniti: i repubblicani, infatti, hanno scelto l’“opzione nucleare” per la nomina alla Corte Suprema. 

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I repubblicani controllano il Congresso americano (entrambe le camere) dal 2014 e nel primo pomeriggio di giovedì 6 aprile hanno votato al Senato per cambiare la regola di voto che porti alla nomina un nuovo membro della Corte Suprema.

La votazione è stata definita “opzione nucleare” perché è un’azione estrema e profondamente distruttiva degli equilibri politici, è stata voluta dai repubblicani per superare l’ostruzionismo da parte dei democratici che non volevano approvare la nomina di Neil Gorsuch, il giudice scelto da Donald Trump per sostituire il defunto Antonin Scalia, per la quale servivano 60 voti.

Dopo la votazione del 6 aprile, invece, ne basteranno soltanto 51, ovvero soltanto il voto della maggioranza politica al governo, senza dover scomodare il voto di nessun membro del partito di minoranza. L’ultimo simbolo del bipartitismo americano è crollato. 

L’opzione nucleare non è qualcosa di nuovo nella politica americana, infatti risale ai tempi dell’amministrazione Obama, quando al Congresso governavano ancora i democratici. Nel 2013, Obama e il partito democratico avevano cambiato le regole di voto (da 60 a 50+1voti) per tutte quelle che erano le nomine di governo e di corti minori, di fronte il netto ostruzionismo dei repubblicani, ma avevano comunque lasciato intatta la modalità di votazione per ciò che riguardava la Corte Suprema. 

La scelta era voluta, vista l’importanza della nomina, perché la Corte Suprema spesso è l’unico potere che può opporsi direttamente alle decisioni del presidente (specie quando il Congresso è dello stesso colore dell’inquilino della Casa Bianca) e perché i democratici volevano mantenere un certo bipartisanismo con i repubblicani. 

Giovedì, questo bipartisanismo è scomparso del tutto e il 7 aprile, quasi sicuramente, Neil Gorsuch diventerà il nuovo membro della Corte Suprema degli Stati Uniti, con un semplice voto maggioritario. Nonostante l’opposizione netta dei democratici – basti pensare alle 16 ore filate di protesta nell’aula del Senato del senatore democratico Jeff Merkley – i repubblicani hanno deciso di proseguire per la loro strada, con il sostegno del presidente Donald Trump che punta a vedere nominato il suo giudice.

C’è da dire che, quando l’ex presidente Barack Obama aveva provato a nominare un giudice, Merrick Garland, dopo la morte di Scalia, i repubblicani – guidati da Mitch McConnell – si erano persino rifiutati d’incontrare il giudice scelto da Obama, sostenendo che un presidente a fine mandato non potesse fare una scelta tanto importante. 

Mitch McConnell, leader del partito repubblicano, ha dichiarato che l’opzione nucleare è stata semplicemente l’ultima escalation di una guerra giuridica iniziata dai democratici quattro anni fa e, di conseguenza, ora i democratici non dovrebbero lamentarsi per qualcosa che sono stati loro stessi i primi a compiere. 

Chuck Schumer, il senatore leader del partito democratico, ha detto che questa votazione rappresenta “la fine di una storia di ampio consenso bipartisan per le nomine alla Corte Suprema”. 

Infatti, la votazione e la conseguente nomina di Gorsuch, sancisce ufficialmente la fine di quello che è stato per decenni una forma di bipartisanismo relativo fra i due grandi partiti americani per questioni d’importanza rilevante come quelle inerenti la Corte Suprema. Una politica bipartisan spesso solo di facciata, ma pur sempre simbolo di democrazia. Qualcosa che da oggi non esisterà più. 

Sempre Schumer, in una conferenza stampa della settimana scorsa, aveva invitato i repubblicani a un ripensamento di fronte alla nomina per la Corte Suprema, chiedendo di scegliere un nuovo candidato e dichiarando che sarebbe stato scorretto, invece, cambiare le regole del gioco pur di far passare il proprio giudice. 

Tuttavia, i repubblicani non hanno prestato ascolto a nessuna lamentela e hanno preferito distruggere decenni di pratiche politiche consolidate pur di non veder fallire la nomina del presidente. 

Specialmente dopo la cocente delusione alla Camera dei Rappresentanti di qualche settimana fa, quando gran parte del partito repubblicano si oppose al nuovo piano per l’assistenza sanitaria negli Stati Uniti proposto da Donald Trump e dal portavoce congressuale Paul Ryan, l’American Health Care Plan. 

Ovviamente non stiamo parlando della fine della democrazia, ma rimane un dato di fatto: ora il partito repubblicano avrà il controllo della Casa Bianca, del Congresso e, teoricamente (visto che dovrebbe restare sempre e comunque super partes) della Corte Suprema, dove siederanno cinque giudici nominati da presidenti repubblicani e quattro giudici nominati da presidenti democratici. 

Una maggioranza che potrà portare in futuro a decisioni giuridiche molto meno equilibrate che in passato, specie ora che il nuovo giudice è visto come un individuo con posizioni tendenzialmente estreme e interpretazioni della Costituzione americana strettamente legate al testo, specie per quanto riguarda i diritti dei lavoratori. 

I democratici inoltre dubitano dell’indipendenza del giudice Neil Gorsuch nei confronti di Trump e hanno accusato il candidato giudice, durante l’audizione di conferma, di essersi comportato in maniera non trasparente, senza esprimere mai un’opinione o prendere una posizione di fronte alle domande della commissione.

Il giudice Neil Gorsuch s’insedierà probabilmente alla Corte Suprema entro la fine del mese di aprile.  

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