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La guerra generazionale del toast all’avocado

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Il milionario Tim Gurner ha criticato le eccessive spese superflue dei giovani d'oggi, e da allora si è scatenata una guerra di opinioni sui diritti dei millennial

La Treccani lo definisce “il frutto dell’albero delle Lauracee (Persea gratissima, per gli amanti dei nomi scientifici), originario del Messico, piriforme, grosso come un pugno, con buccia coriacea, di colore variante dal verde al gialliccio con sfumature rossastre o bruno-nere, polpa di consistenza burrosa, gialla o verdognola, con odore di pinolo o di noce, facilmente staccabile dal nocciolo, che contiene un seme”.

S&D

Eppure da qualche tempo a questa parte l’avocado (di questo si parla) non è più solo un frutto esotico presente nei ripiani più costosi dei supermercati, ma il vero e proprio simbolo di una guerra culturale, civile, generazionale, che sta inimicando figli e genitori, fratelli e sorelle, editorialisti e professori universitari.

Ma cos’ha scatenato tanto astio a partire dall’innocente frutto verde? Innanzitutto alcune abitudini alimentari recenti, che sembrano vederlo come il principe di una cultura giovanile da brunch, tendenzialmente hipster, urbana, salutista e spendacciona, che lo ha reso indispensabile nei locali più alla moda, tanto da meritare addirittura l’apertura di bar dedicati alla sua celebrazione.

L’iniziale dichiarazione di guerra è stata però firmata il 15 maggio da tale Tim Gurner, 35 anni, un imprenditore edile australiano che nel giro di pochi anni è diventato uno dei più giovani milionari del suo paese.

Durante un’intervista al programma televisivo 60 Minutes, Gurner ha avuto l’ardire di affermare che se i millennial vogliono seguire il suo esempio o quantomeno permettersi un giorno di comprare una casa, dovrebbero forse smetterla di spendere soldi in toast all’avocado.

“Quando cercavo di comprare la mia prima casa, non spendevo quaranta dollari al giorno per caffè e avocado triturato. Siamo arrivati a un punto in cui le aspettative dei giovani sono molto, molto alte. Vogliono mangiare fuori tutti i giorni, vogliono andare in Europa ogni anno. La gente che oggi possiede una casa ha lavorato molto, molto duro e ha risparmiato ogni dollaro. Questa generazione guarda i Kardashian in tv e pensa che avere una Bentley in garage sia normale”.

Questo il suo intervento:

Va specificato che il sig. Gurner non ha nemmeno nominato la parola “millennial”, che resta ancora poco definibile ma che, essendo stata usata da qualsiasi testata giornalistica riguardo alle sue dichiarazioni, sembra essere ormai non tanto una proprietà anagrafica quanto un sinonimo di “giovane viziato il cui massimo sacrificio nella vita è stato passare mezza giornata senza Wi-fi”.

Gurner ha ricordato invece, con toni decisamente dickensiani, i suoi umili inizi, che lo hanno portato attraverso l’olio di gomito e il sudore della fronte a una fortuna di circa 473 milioni di dollari: “Ho sacrificato moltissime cose in quegli anni, facendo più lavori contemporaneamente, lavorando sette giorni alla settimana e risparmiando ogni centesimo. Erano anche i giorni più bui e più difficili della mia vita, avevo solo diciott’anni, avevo appena preso un prestito enorme e non potevo sgarrare per essere sicuro di non andare in rosso”.

A quel punto, qualunque millennial fosse all’ascolto sembra aver posato il proprio toast all’avocado sul tavolo del brunch e messo mano al proprio iPhone 7 per dare inizio a un nuovo maggio rivoluzionario tramite Twitter, protestando furiosamente contro questa visione così poco lusinghiera della propria accortezza finanziaria.

Il sunto della maggior parte dei post di protesta è stato principalmente improntato all’impossibilità di acquistare una casa di proprietà anche rinunciando vita natural durante al frutto del peccato, del tipo “Se il valore medio di una casa statunitense è di 196.500 dollari, che solitamente scendono a un anticipo immediato di 39.300 dollari prima di iniziare a pagare un mutuo, e se un toast all’avocado costa circa 8 dollari, sarà necessario rinunciare a circa 4.900 deliziosi pasti”.

A dare manforte agli indefinibili millennial sono poi arrivati diversi giornali e siti piuttosto prestigiosi, che hanno approfittato dell’occasione per scagliarsi contro gli ormai sempre più odiati baby boomers.

Così come i millennial, anche questi sono ormai più una categoria dell’anima che una generazione, anche se in questo caso c’è un po’ più di certezza sulla loro appartenenza anagrafica: nati negli anni Quaranta-Sessanta, gli attuali anziani avrebbero avuto il privilegio di crescere nel florido dopoguerra e si sarebbero dati alla pazza gioia senza pensare di garantire ai loro figli una vita altrettanto dignitosa sacrificando qualcosa.

È colpa loro se i millennial sono snowflakes, fiocchi di neve, il termine mutuato da Fight Club di Chuck Palahniuk (“Tu non sei un delicato e irripetibile fiocco di neve. Tu sei la stessa materia organica deperibile di chiunque altro e noi tutti siamo parte dello stesso cumulo in decomposizione”) che oggi è diventato sinonimo di “mammoletta” cresciuta negli agi incapace di affrontare le durezze della vita.

Lo dice Rhiannon Lucy Cosslett sul Guardian: “Una parola per i boomers: non abbiamo inventato noi l’avocado. L’avete fatto voi. L’avete abbracciato con tanto fervore che avete desiderato delle stanze da bagno dello stesso colore. Ho letto che Paul McCartney ha mangiato il suo primo avocado nel 1963, quando aveva ventun anni. Non solo io non ero nata, ma mia madre non aveva nemmeno mai avuto le mestruazioni. Siete voi che avete creato questo mondo. Prendetevene la responsabilità”.

Michael Silverstein, professore di antropologia dell’Università di Chicago, tira in ballo su Quartz addirittura il sistema capitalistico e la lotta di classe: “Quando le classi più agiate vedono i meno ricchi che godono di uno stile di vita simile al loro, tendono a diventare ansiosi e irritati per il fatto che l’esclusività della loro posizione, dimostrata da tutti gli status symbol del loro stile di vita, sembra minacciata da chi aspira a raggiungerla”.

Quale la verità? Difficile dirlo. È indubbio che il progresso economico dell’occidente (e non solo) dal dopoguerra in poi abbia contribuito a dar luogo a generazioni sempre meno bisognose di beni di prima necessità, e quindi più abituati a concedersi (e a pretendere) dei piaceri superflui prima impensabili.

Lo stesso si potrebbe però dire dei loro padri, e dei loro padri ancora, secondo un’infinita catena di riprovazione per i “giovani d’oggi” che probabilmente ebbe inizio già con i comportamenti poco esemplari di Caino.

Quel che forse è cambiato, e che dà quindi qualche legittimità al discorso del milionario Gurner (senza dubbio un privilegiato), è l’inatteso e scioccante cambio di verso della curva del benessere collettivo, che solo negli ultimi anni ha visto i figli preoccupantemente più poveri dei loro padri. Molti di loro potrebbero non averlo notato per ragioni anagrafiche, ancora a distanza di sicurezza dalle incombenze economiche legate all’età adulta, e allora è forse comprensibile che di fronte a certe prospettive catastrofiche si tenda a godere del superfluo finché c’è.

In fin dei conti, la passione per i toast all’avocado sembra essere adatta alla più ampia cultura millennial dello YOLO, il grido di guerra presente su etichette di Snapchat e hashtag di Instagram secondo cui in fondo “You Only Live Once”, “si vive una volta sola”.

Se l’acronimo sopravviverà ancora tra una decina d’anni, e se lo stesso farà l’avocado, quando i giovani instagrammers intenti a pubblicare foto filtrate dei loro toast potrebbero non aver più accesso ai fondi illimitati dei genitori, è ancora da scoprire: ai post l’ardua sentenza.

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