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La mappa dei paesi che rischiano di scomparire

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Il Fragile State Index, l'indice del 2016 di Fund for Peace, mostra quali sono i paesi più stabili al mondo e quelli che invece rischiano di non esistere più

La Somalia è il paese al mondo che più di ogni altro rischia l’estinzione. Almeno secondo il Fragile States Index (Fsi) 2016, un rapporto annuale pubblicato dal 2005 dalla think tank statunitense Fund for Peace e dal magazine Foreign Policy.

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Il Fsi compila tutti gli anni una graduatoria dei paesi più fragili al mondo, considerando una serie di fattori, divisi in tre categorie: sociali (4 indicatori), economici (2) e politici (6).

In ognuno degli indicatori il singolo paese riceve un punteggio in una scala da 0 a 10, dove 0 indica la massima stabilità e 10 il massimo rischio. Il rapporto si basa sulla raccolta di articoli e report processati da un software elettronico. 

Nel ranking del 2016, il paese in testa – quindi più fragile – è la Somalia, che ha scalzato dal primo posto il Sud Sudan. Subito dietro la Repubblica Centrafricana, il Sudan, lo Yemen e la Siria. Proprio Yemen e Siria sono i paesi in cui la situazione sembra essere in peggioramento, con tre posizioni in più rispetto al 2015.

Dietro molti stati africani, ma non solo: Chad, Repubblica democratica del Congo, Afghanistan, Haiti, Iraq, Guinea, Nigeria, Pakistan, Burundi, Zimbabwe. 

Credit: Fund for Peace

Il paese più stabile è la Finlandia, unico stato definito “molto sostenibile”. L’indice divide i paesi in 11 categorie in base al loro punteggio totale.

Dopo l’unico stato “molto sostenibile”, ci sono quelli “sostenibili”: i migliori dopo la Finlandia sono Norvegia, Nuova Zelanda, Danimarca, Svizzera e Australia.

C’è poi la categoria degli stati “molto stabili”, in cui rientrano Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Si passa poi a quelli “più stabili”: tra questi figura anche l’Italia, tra i peggiori nell’Ue.

Ci sono poi i paesi “stabili”, quelli “preoccupanti” e i paesi in cui esiste una “preoccupazione elevata”. Tra questi ultimi risultano anche Israele, Cina, India, Turchia e Messico.

Più preoccupante è la situazione dei paesi in cui l’allarme è ancora più alto, rientranti nella fascia di punteggio totale tra gli 80 e i 90 (il massimo dell’allerta è 120). Si passa poi alle vera e propria allerta. Sopra i 100 punti ci sono 16 paesi: otto di questi rientrano nell’“alta allerta” e altri otto con una “allerta veramente alta”. 

La Somalia ha un un indice di 114 su 120, risultando un paese ad alto rischio in tutte le 12 categorie (mai sotto i 9 punti su 10). Vicinissimo il Sud Sudan, con 113.8.

Le dodici categorie prese in considerazione e su cui viene dato un punteggio sono: pressione demografica, rifugiati, tensioni tra gruppi, fuga di cervelli, sviluppo economico non livellato, povertà e declino economico, legalità dello stato, servizi pubblici, diritti umani, apparato di sicurezza, elite divise in frazioni, interventi esterni.

Come è messa l’Italia

L’Italia, nonostante la 148esima posizione non sia un piazzamento particolarmente soddisfacente, risulta essere più sicura e stabile rispetto al 2015. 

Credit: Fund for Peace

L’unica categoria in cui l’Italia raggiunge un risultato “eccellente” è la fuga di cervelli. Secondo l’indice, un po’ a sorpresa, l’Italia è uno dei paesi in cui c’è meno fuga di cervelli. Buoni risultati anche su pressione demografica, sviluppo economico paritario, legalità dello stato, servizi pubblici, diritti umani e interventi esterni.

Più critica la situazione riguardante l’apparato di sicurezza e la divisione delle elite in frazioni. Preoccupante anche la questione dei rifugiati e la tensione tra gruppi. Peggior indicatore è quello della povertà e del declino economico.

Credit: Fund for Peace

Il trend nelle varie categorie, dal 2007 al 2016, mostra una minore pressione demografica, meno dislivello economico e un miglioramento sulla fuga di cervelli. In netto peggioramento la questione rifugiati e le tensioni tra gruppi. La situazione economica, dopo anni di criticità, ha ripreso la sua discesa verso valori meno preoccupanti per la stabilità dell’Italia.

Credit: Fund for Peace

Per quanto riguarda la situazione politica, quasi tutti gli indicatori segnano un miglioramento dal 2015, ma ancora non abbastanza da recuperare rispetto ai valori del 2007.

Migliora la legalità dello stato, ritornando a valori vicini a quelli del 2007. Stabile la situazione dei servizi pubblici e in miglioramento quella dei diritti umani. In lieve miglioramento anche l’indice sull’apparato di sicurezza, anche se ancora lontano dai livelli del 2007. Peggiora costantemente la situazione delle elite frazionate, così come – negli ultimi anni – l’influenza di interventi esterni.  

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