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Guida Bardi
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Essere donna e immigrata a Roma

Immagine di copertina

La storia di tre donne, molto diverse tra loro, unite dall’occupazione multiculturale di un ex albergo alla periferia di Roma

Bachir aveva sette anni quando vide per la prima volta il
cancello dell’
Eurostar Roma Congress Hotel & Convention Center, un ex
albergo di lusso alla periferia di Roma, ora 
più semplicemente noto come il
4 stelle.

Da allora quella sarebbe diventata la sua casa e quella
di duecento famiglie di migranti che dal dicembre del 2011 hanno occupato le stanze
della struttura abbandonata, riabilitandola all’uso.

La curiosità di Bachir mi ha guidato, attraverso
il labirinto di corridoi dell’ex albergo, fino alla stanza 521, occupata da Muna, una giovane
donna etiope di 33 anni, mamma di una bimba di cinque anni e di uno di appena un anno. È arrivata in Italia nel 2006 e da Siracusa si è poi
trasferita a Roma con suo marito, Muzyn. Sono entrambi rifugiati politici etiopi in Italia. 

Muna, una donna etiope in fuga verso la libertà

Muna era una tra le 1.842.000 donne immigrate in Italia
nel 2006, secondo una stima del Dossier Caritas/Migrantes. Il 49,9 per cento degli stranieri in Italia era donna, percentuale che confermava il crescente
protagonismo femminile nel panorama migratorio. 

Mentre cerca di tenere a bada i bambini che giocano, Muna
prova a raccontarmi la sua storia. In Etiopia ha studiato ragioneria, parla
l’inglese, l’italiano e l’amarico, la lingua ufficiale etiope. Eppure non ha
un lavoro. Anche
suo marito è disoccupato al momento. Non hanno nulla.

La bancarella per cui lavorava il marito Muzyn è da poco andata
in fallimento. Non è più riuscito a pagare i 700 euro d’affitto per il
monolocale al quartiere di Roma Tor Sapienza e l’occupazione si è rivelata l’unica soluzione per riconquistare una casa
.

Dal
2012 anche a loro è stata assegnata una stanza al
4 stelle dai Blocchi Precari Metropolitani, un collettivo che si
batte per il diritto all’abitazione e gestisce l’occupazione dell’albergo.

Procurare cibo ogni giorno per quattro persone non è semplice. “Ce la caviamo”, spiega Muna, “Mio marito vende bibite nell’atrio
dell’albergo, il bancone della reception è diventato una sorta di piccolo bar.
Qualche volta accompagna i bambini delle altre famiglie a scuola e con i
passaggi ricaviamo qualcosa”.

Muna
non è agevolata dalla doppia condizione di donna e immigrata. Secondo il XII rapporto sull’immigrazione della Caritas del 2007, le donne risultavano maggiormente esposte al rischio della
disoccupazione rispetto agli uomini immigrati. I dati
Caritas/Migrantes del 2009 dimostrano come le donne immigrate guadagnassero il 39,7 per cento in meno rispetto agli
uomini.

Al 4 stelle
abitano circa 500 persone e le loro nazionalità spaziano dall’Africa
all’America Latina. Una vera e propria mescolanza di religioni e culture. 

Muna sorride sempre. “In occupazione mi sento libera”
rivela la giovane donna. “Vivo benissimo qui, la mia casa è questa stanza, ma
ho il privilegio di non dover pagare l’affitto. 
Però non è sempre facile vivere in
mezzo a 
così tante persone di diversa nazionalità”.

Sposati per amore, entrambi di religione musulmana, Muna
e Muzyn sono scappati dal loro Paese di origine per fuggire alle atrocità dell’Eprdf, la coalizione
politica di stampo comunista ancora oggi dominante in Etiopia. 
“Il partito proibiva alle donne di pregare e di portare
il velo nelle università. Molte donne dovettero lasciare l’università per
questo motivo” spiega Muna.

Secondo un rapporto dell’Ethiopian Human Rights Council
del 1992, sono 2.000 gli oppositori del partito che sono stati incarcerati e tredici quelli che sono stati uccisi
solo in quell’anno. 

“Adesso viviamo tranquilli, facciamo la nostra vita. In
Etiopia circa la metà della popolazione è di religione musulmana, il resto è
ortodosso. Qui all’albergo, come quando vivevo a Harar, in Etiopia, convivo con donne di altre
religioni e culture in libertà”, racconta Muna.

Yisela, la forza e il carattere di una mamma peruana

Yisela è una donna dallo sguardo vissuto. La mamma di Bachir è nata e cresciuta in Perù e ha 42 anni. È arrivata in
Italia nel 1991 da sola, a diciotto anni, in cerca di un lavoro e una vita
migliore. 

Anche lei, come Muna, ha lavorato come badante e ora vive
con la sua famiglia in un piccolo bilocale al secondo piano dell’ex albergo. Quando è mancato
l’anziano cui prestava assistenza, ha dovuto lasciare la casa in cui viveva e
lavorava e trasferirsi nell’edificio occupato con i due figli.

Il suo compagno è algerino, si sono conosciuti in Italia
qualche anno fa. Lei cristiana, lui musulmano. Un contrasto forte, il loro, un
tassello che si incastra alla perfezione nel mosaico multiculturale dell’occupazione
al 4 stelle.

“All’inizio è stato molto difficile”, racconta Yisela, “mi
diceva che dovevo abbassarmi la maglietta. Le gonne corte me le mettevo, ma a
lui non andava bene. Col passare del tempo, si è abituato e mi ha lasciata
vestire come volevo”.

Il suo compagno non le ha mai chiesto di convertirsi,
Yisela è rimasta cristiana e ha deciso di non battezzare i bambini: saranno
loro a scegliere la loro religione.

Nella foto qui sotto: Zeina, del Senegal, e Ninish, dell’Etiopia, nella stanza 301. Credit: Valerio Muscella


Bachir e Mirko, suo fratello maggiore di 13 anni, sono
tornati a giocare in cortile, mentre Yisela prepara il pollo da friggere per
cena e racconta che anche loro hanno avuto bisogno di tempo per ambientarsi
nel contesto dell’albergo.

Hanno dovuto sistemare i loro letti di fronte ai
fornelli, nella stessa stanza, per via del poco spazio. “Si fa quel
che si può”, spiega Yisela, “Le stanze non sono tutte uguali, molte liti tra le
famiglie in occupazione sono nate anche per questo motivo”.

La famiglia di Yisela è uno dei 18 nuclei familiari sudamericani
al
4 stelle, mentre la maggior parte
degli altri proviene da Paesi islamici. Nonostante la facilità con cui ha
saputo gestire il divario culturale nella sfera privata, Yisela rivela che la
convivenza in un edificio occupato non è sempre facile, proprio per via delle differenze religiose.  

Anche lei, come il resto degli abitanti del 4 stelle, deve fare i turni per il
picchetto all’ingresso, la sorveglianza per monitorare l’arrivo della polizia è operativa 24 ore al giorno e viene suddivisa in turni. 

“Noi sudamericane facciamo il picchetto di notte. Gli
uomini musulmani vogliono che le loro donne stiano a casa la notte, ma qui
siamo tutti uguali. Quando sei donna, dici le cose come stanno, esprimi il tuo
parere. Anche se non è sempre facile, a volte è meglio mantenere la bocca
chiusa,” dice Yisela e racconta di quella volta che ha rischiato lo scontro
fisico con un 
condomino musulmano per aver parlato troppo.

Il XII rapporto sull’immigrazione della Caritas/Migrantes del 2007 indica che i
musulmani in Italia sono più di un milione e costituiscono il secondo gruppo
religioso del Paese. Il pluralismo religioso si è affermato grazie
all’immigrazione, ma questo fenomeno non è sempre sinonimo di tolleranza.

Valentina e la conversione all’islam per amore

Anche il compagno di Valentina, una rom rumena di 32
anni, è musulmano. Lei è ortodossa. Vivono in Italia dal 2009 e dalla loro unione
è nato un bimbo di un anno e nove mesi di nome Islam. I figli del precedente
matrimonio rom sono in Romania con il padre. “Li sento su Skype e su Whatsapp,”
racconta Valentina.

Dal campo rom di via Prenestina all’occupazione dell’ex
albergo. La vita è molto dura nelle baraccopoli abusive alla periferia di Roma,
per via dell’assenza di acqua corrente e le scarse condizioni igieniche dovute
agli inadeguati sistemi fognari.

Vivere in un edificio occupato ha reso la loro vita un po’ più
semplice. Valentina resta a casa a badare al figlio, mentre suo marito lavora in una bancarella di scarpe alla fermata metro di Ponte Mammolo, a Roma.

Dovrà convertirsi all’Islam, se vuole sposarsi con lui,
anche se non ha alcun obbligo di conversione,
secondo il diritto musulmano. Sua
sorella Angela ha 26 anni e racconta che ha sentito dire che Valentina potrebbe
vivere con altre mogli. “Io non ce la farei mai”.

Secondo il Corano, se la donna è stata sposata in
precedenza, non può risposarsi fino a quando il matrimonio non viene sciolto.
L’uomo, essendo poligamico, può sposare contemporaneamente fino a quattro donne,
ma sempre con il consenso delle mogli precedenti.

La differenza di pensiero tra le due sorelle è abissale. Angela mostra orgogliosa la sua scollatura. Valentina, invece, non vuole saperne di
gonne corte. Sostiene che è importante che sia suo marito a vedere il suo corpo,
non le altre persone.

In Italia le romnì, donne rom, vivono in un ambito
complicato per via della tripla discriminazione, in quanto donne, immigrate e “zingare”.
La maggior parte delle romnì si sposa verso i 16 anni, come nel caso di
Valentina, e spesso devono lasciare la scuola per occuparsi dei figli.
Valentina non sa né leggere né scrivere. Anche sua nipote di 16 anni ha appena
partorito e ha smesso di andare a scuola.

Secondo uno studio del 2013 sulla condizione delle donne rom dell’Unar, l’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali, nonostante
la metà delle romnì abbia la cittadinanza italiana, il grado di disparità e
razzismo nei loro confronti è ancora molto alto.

“A Roma mi guardano sempre dall’alto al basso, come se volessi
sempre rubare qualcosa,” spiega Valentina.

La discriminazione si manifesta anche all’interno
dell’aggregato domestico: le donne sono generalmente legate alle convenzioni
sociali, alla gonna lunga e al fazzoletto in testa. La libertà di Angela nel
vestire è un caso d’indipendenza all’interno delle tradizioni delle romnì.

Nonostante la diseguaglianza di genere all’interno dei gruppi rom e la cultura fortemente patriarcale, la donna ricopre paradossalmente un ruolo
importante in alcune situazioni familiari, come la scelta della moglie per i
figli.

Prima di incontrare il suo nuovo compagno, anche
Valentina è stata sposata con un rom.  “Per sposarti devi essere vergine. La suocera
prepara il letto la prima notte di nozze. La mattina dopo prende lei le
lenzuola e fa vedere il sangue a tutta la famiglia. Devono essere sporche e non
è una vergogna, è importante per una femmina”.

I matrimoni precoci, la purezza virginea e la bassa
scolarizzazione non sono le uniche problematiche. Angela e Valentina non hanno
un lavoro, ma nella loro cultura il lavoro non è sempre sinonimo di realizzazione
personale, serve generalmente a soddisfare i propri bisogni.

Secondo lo studio dell’Unar, la difficoltà per le romnì a
trovare lavoro è causata soprattutto dal basso livello di alfabetizzazione e dal pregiudizio
nei loro confronti.

La barriera culturale è presente anche all’interno del 4 stelle. Valentina dice di essere
trattata bene da tutti, ma fatica a comunicare con le donne che non
parlano la sua lingua, il romanes.

La migrazione può essere uno strumento di emancipazione
per tutte quelle donne che cercano migliori e pari opportunità.
Eppure la barriera
della discriminazione, del pregiudizio e della violenza non si superano facilmente,
neppure nel contesto di un’occupazione multiculturale come quella del
4 stelle.

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