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Cosa sono i Cie e perché se ne sta parlando tanto?

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Cosa succede ai migranti una volta giunti via mare sul territorio italiano? Quali sono i centri destinati alla loro accoglienza? Tutto quello che c'è da sapere

Cosa succede ai migranti una volta giunti via mare sul territorio italiano? È questa una delle domande che da mesi ci si pone, sul destino delle migliaia di stranieri che arrivano in Italia. Qual è il loro destino? Chi si occuperà di loro? Chi ha diritto di rimanere e chi sarà rimpatriato? Quali sono i centri destinati alla loro accoglienza? 

S&D

Da anni al centro delle cronache, i Cie, i centri di identificazione ed espulsione dei migranti, sono negli ultimi giorni ritornati il fulcro del dibattito pubblico, in seguito alla proposta del ministro dell’Interno Marco Minniti che ha intenzione di presentare un nuovo piano per ridare vita a questi centri, ormai quasi tutti chiusi. Allo stato attuale sono quattro i Cie funzionanti: Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino. 

Il ministro Minniti, alla luce delle numerose critiche che l’idea della riapertura dei Cie ha scatenato, ha assicurato che saranno apportate delle modifiche per far sì che non siano dei lager per migranti. Tra queste migliorie vi è l’idea di creare un Cie in ogni regione, tranne Valle d’Aosta e Molise, con un numero di posti che varia da 80 a 100. Sarà inoltre presente una sorta di garante per i migranti, che tuteli le condizioni di vita, spesso disastrose e ai limiti della decenza umana, dei centri.

Nei Cie verranno trattenuti i soli migranti che hanno un profilo di pericolosità sociale, senza documenti, con precedenti penali. Il piano verrà condiviso con gli enti locali nella conferenza Stato-Regioni del 18 gennaio.

Parallelamente il Viminale si muoverà sul piano degli accordi con i paesi di provenienza, per stabilire e favorire i rimpatri di tutti coloro che non presenteranno i requisiti per il riconoscimento del diritto di asilo. 

Un altro provvedimento che servirà a migliorare la macchina dell’accoglienza in Italia, attualmente lenta e complicata, sarà la velocizzazione dei processi portati avanti dalle commissioni territoriali d’asilo, per far sì che chi sia in possesso dei requisiti, possa ottenere più in fretta lo status di rifugiato e impegnarsi fin da subito nel mercato del lavoro.

Un altro punto da sciogliere è l’accordo tra ministero degli Interni ed enti locali: ogni comune dovrà accogliere 2,5 migranti ogni mille abitanti, evitando così che pochi facciano troppo e tanti non facciano nulla. 

Le strutture attualmente presenti in Italia per l’accoglienza dei migranti sono i centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), i centri di accoglienza (Cda), gli hotspot, i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie). Esistono inoltre altri hub temporanei o Centri di prima accoglienza e Centri di accoglienza . 

COSA SONO I CIE – I Centri di identificazione ed espulsione sono stati istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, la cosiddetta legge Turco-Napolitano. Si tratta di strutture di trattenimento dei migranti irregolari, destinati all’espulsione. Le strutture, denominate inizialmente Cpta, centri di permanenza temporanea e assistenza, nel 2011 hanno preso il nome di Cie. Attualmente il periodo massimo di permanenza dei Cie è di 12 mesi. 

I quattro Cie funzionanti (Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino) sono dotati di 574 posti disponibili di cui effettivi 359. Al 30 dicembre 2016 risultavano trattenute 288 persone. Dal 1 gennaio al 15 settembre 2016, le persone transitate nei Cie sono state 1.968. Di questi, 876 sono stati rimpatriati, circa il 44 per cento. 

Attualmente all’interno dei centri di identificazione ed espulsione si trovano tipologie molto diverse di stranieri, come ad esempio persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che non avendo più rinnovato il permesso di soggiorno sono diventate irregolari (cosiddetti overstayer), ex-detenuti che, scontata la pena, sono stati poi trasferiti nei Cie in attesa di identificazione o di rimpatrio. E ancora, richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la propria domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di respingimento ed espulsione. 

COSA SONO GLI HOTSPOT – si tratta di centri di primissima accoglienza, dove è prevista una permanenza di 48 ore, per la fotosegnalazione, la registrazione delle impronte digitali e un primo screening sanitario. Nella realtà, la permanenza in queste strutture è destinata a durare ben più delle 48 ore previste. Gli hotspot sono collocati nei luoghi degli sbarchi. A dicembre 2016 risultano attivi quelli di Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo.

In seguito all’identificazione negli hotspot, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari hub presenti sul territorio nazionale, le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hub dedicati e quelle in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione per poi essere rimpatriati. 

LE OPERAZIONI DI RIMPATRIO – I provvedimenti con cui lo stato italiano dispone l’allontanamento dal suo territorio dei cittadini stranieri sono i respingimenti (alla frontiera o disposti dal questore in un secondo momento) e le espulsioni, che possono essere emesse dall’autorità amministrativa o da quella giudiziaria.

L’effetto del provvedimento di espulsione spesso è l’accompagnamento immediato alla frontiera da parte delle forze di polizia. Tuttavia, se sussistono impedimenti temporanei, materiali o legali, all’immediato accompagnamento alla frontiera dello straniero respinto o espulso, l’autorità di pubblica sicurezza può inviare lo straniero respinto o espulso in appositi centri di identificazione od espulsione.

Nel 2016 il governo Renzi ha depenalizzato il reato di ingresso e soggiorno illegale, che è stato trasformato in illecito amministrativo. È sanzionabile penalmente solo il reingresso dopo l’espulsione. 

Nel 2015 su 34.107 stranieri sottoposti a un provvedimento di espulsione dal territorio italiano, 15.979 sono stati effettivamente allontanati (circa il 46 per cento) mentre 18.128 non hanno mai lasciato il paese. Da 1 gennaio al 15 settembre 2016 sono stati 3.737 i cittadini stranieri rimpatriati di cui 876 provenivano dai Cie.

Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza italiano ha avviato forme di cooperazione operativa con le autorità competenti dei paesi dai quali hanno origine i principali flussi di immigrazione, in particolare con Gambia, Costa d’Avorio, Ghana, Senegal, Bangladesh e Pakistan.

Oltre al provvedimento di espulsione forzata, esiste anche la misura del Ritorno volontario assistito (Rva), cioè la possibilità che viene offerta ai cittadini dei paesi terzi presenti nei paesi UE di ricevere aiuto per ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio paese di origine in condizioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata. Secondo quanto riferito dal Ministro dell’interno, i rimpatri volontari e assistiti nel 2015 sono stati 411. 

LE CRITICHE – molti sindaci, presidenti delle regioni, associazioni che si occupano di migranti, sono concordi nel criticare il nuovo piano che sta prendendo forma, considerando i Cie assolutamente inefficaci e soprattutto disastrosi dal punto di vista dei diritti umani. Primo fra tutti il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che da sempre si batte contro i centri di identificazione e di espulsione, e non vede il motivo per cui debbano essere riaperti se già si sono dimostrati fallimentari.

In un’intervista sul quotidiano La Repubblica, il governatore Rossi sostiene che il modello che può funzionare si basa su una rete di accoglienza diffusa sul territorio ma con poche unità, non le centinaia di migranti per ogni centro come succede adesso. Anche Beppe Grillo è fortemente contrario alla soluzione di riaprire i Cie. “Aprire un Cie per regione, come propone il Ministro Minniti, rallenterebbe solo le espulsioni degli immigrati irregolari e non farebbe altro che alimentare sprechi, illegalità e mafie”, si legge sul blog del Movimento 5 stelle. 

“I Cie non sono solo inutili e dannosi ma sono anche un dispendio economico e portatori di abuso di ogni tipo. Non solo non ne vanno riaperti di nuovi ma vanno chiusi quelli che ci sono. Sono luoghi di abuso in cui l’unica presenza è la polizia, non c’è nient’altro. C’è chi muore di Cie. Sono molto peggio del carcere”, spiega a TPI Yasmin Accardo, referente nazionale per i territori dell’associazione LasciateCIEntrare.

Non emerge un’opinione favorevole sui Cie neanche dal rapporto della Commissione diritti umani del Senato sui centri di identificazione ed espulsione, aggiornato ai primi giorni del gennaio 2017. “L’analisi dei dati del ministero dell’interno conferma le difficoltà nell’eseguire i rimpatri nel nostro paese e l’inefficacia dell’intero sistema di trattenimento ed espulsione degli stranieri irregolari”, si legge. 

— LEGGI ANCHE: COME FUNZIONA LA RICHIESTA DI ASILO POLITICO IN ITALIA 

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