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Home » Esteri

Matteo Renzi vuole esportare il Renzismo a Bruxelles

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A casa i diplomatici e chi è troppo incline allo strapotere delle istituzioni europee. C'è posto solo per chi vuole davvero far battaglia. La nuova sfida di Renzi all'Ue

A due anni dall’inizio del suo governo, il premier italiano Matteo Renzi sta aprendo un nuovo capitolo per quel che riguarda il suo rapporto con le istituzioni europee. Si tratta di una fase dai modi e dai toni che rievocano la scalata che da Firenze lo ha portato a Palazzo Chigi.

Toni e modi ancora più aggressivi, persino sfacciati, che vorrebbero scandire la battaglia di Renzi tra governo italiano e Commissione europea, arrivata al suo culmine nel gennaio del 2016 (ne abbiamo parlato qui: riassunto).

Ma proviamo a ricostruire per gradi il rapporto tra Matteo Renzi e l’Unione europea, da quando è diventato presidente del Consiglio a oggi.

Nel febbraio del 2014 Matteo Renzi è stato incaricato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di formare un nuovo governo. Nel maggio dello stesso anno, in occasione delle elezioni europee, il Partito Democratico (Pd) guidato da Renzi diviene il partito più votato di tutti e 28 i paesi dell’Unione europea.

Un consenso, questo, che ha permesso a Renzi di fare la voce grossa sia nell’ambito della Commissione europea sia nell’ambito del Partito Socialista Europeo (Pse), di cui il Pd è il principale membro.

Matteo Renzi è così riuscito a far nominare Federica Mogherini – all’epoca ministro degli Esteri del suo governo – come Alto commissario per la politica estera dell’Unione europea e l’europarlamentare Gianni Pittella come capogruppo del Pse. Un risultato estremamente positivo per un paese che già esprimeva nel capo della Banca Centrale Europea l’italiano Mario Draghi.

Un degno riconoscimento quello di Pittella, un europarlamentare di lungo corso che nel 2013 aveva sostenuto Renzi al congresso del Pd ponendo un’importante condizione: l’ingresso del partito nel Pse, tra le prime cose sancite da Renzi come segretario.

Eppure, nonostante queste importanti posizioni, l’Italia non è mai del tutto riuscita a farsi spazio come avrebbe sperato in ambito europeo. Intanto, il ruolo della Mogherini è stato presto ridimensionato: è capitato infatti che numerose volte il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker delegasse affari importanti a Martin Selmayr, il suo capo di gabinetto (da tutti definito l’uomo che conta di più in Commissione), e non alla diplomatica italiana, che ha sempre ritenuto Selmayr un burocrate e non un politico.

Messa in questa sgradevole situazione, Mogherini ha cercato di accreditarsi il più possibile nell’establishment di Bruxelles, tentando in questo modo però di avvicinarsi molto di più a Juncker piuttosto che a Renzi.

Ciò ha tuttavia portato al deteriorarsi del rapporto tra Mogherini e governo italiano: dalla conferenza di Parigi sul Medio oriente di settembre del 2015 – cui Renzi non è stato invitato – fino alla discussione sull’acquisto di quote dell’olio tunisino (a discapito di quello italiano) in cui l’Alto commissario ha preferito schierarsi con Juncker anziché al fianco delle cause sostenute da Renzi.

Una situazione, quella tra il premier italiano e la Commissione, che ha toccato l’apice nel gennaio del 2016, un periodo in cui le borse mondiali hanno iniziato un inquietante crollo, in particolar modo i titoli bancari. Stretto dall’opposizione da un lato e dalla Commissione dall’altro per non aver messo in atto le riforme necessarie al fine di traghettare l’Italia fuori dalla crisi, Renzi è stato protagonista di uno scontro verbale a distanza.

Scontro peggiorato ulteriormente con la notizia, diffusa dai media italiani, secondo cui Selmayr, a margine di una conferenza stampa, avrebbe riferito che il problema della Commissione è quello di non avere un vero interlocutore a Roma, ritenendo Renzi in altri termini una figura su cui le istituzioni europee non possono fare affidamento.

Un rapporto sempre più difficile quello tra Renzi e l’Unione europea, peggiorato dall’indiscrezione secondo cui il crollo nella borsa italiana del titolo della banca Monte de’ Paschi fosse dovuto a una falsa voce messa in giro da qualche funzionario della Bce non legato a Draghi e per il quale, da Francoforte, sarebbe stata inviata a Renzi una lettera simile a quella che nel 2011 portò, di fatto, alla fine dell’esecutivo di Silvio Berlusconi.

In questo difficile contesto, Renzi è passato alla nuova fase dei suoi rapporti con la Commissione. Per prima cosa, l’ambasciatore presso l’Unione europea, Stefano Sannino – un uomo legato a Romano Prodi, un diplomatico vicino alle istituzioni di Bruxelles – è stato sostituito da Carlo Calenda, sottosegretario allo Sviluppo Economico del governo Renzi.

Fuori un diplomatico, dentro un politico. Fuori un uomo vicino a Bruxelles, dentro un sottosegretario di Renzi, dal carattere aggressivo e che non si fida di nessuno.

Finito nel gennaio il botta e risposta tra Renzi e Juncker, liquidato da quest’ultimo come un confronto fatto di parole “maschie e virili”, il braccio di ferro, però, continua.

Matteo Renzi è sempre stato europeista ma al tempo stesso fortemente critico verso la burocrazia e le istituzioni europee. Già in occasione del recente scontro Renzi-Juncker, Jacopo Barigazzi aveva scritto su Politico come questo atteggiamento servisse al premier a togliere voti di italiani euroscettici al Movimento Cinque Stelle e alla Lega Nord.

Movimenti, questi ultimi due, che hanno preso piede velocemente sfruttando a pieno la delusione nei confronti delle istituzioni europee da parte degli italiani tradizionalmente europeisti.

Non è affatto certo che la strategia di Renzi sia meramente un calcolo elettorale. Quel che appare chiaro tuttavia è che la mossa del premier italiano ambisce a inviare un messaggio chiaro a Bruxelles: l’Italia non rimarrà fuori dalle decisioni che contano.

Come fare? Per prendersi questo spazio, Renzi sembra intenzionato a usare lo stesso metodo usato in Italia, che lo ha portato a diventare, in dieci anni, prima un giovane presidente della provincia di Firenze, quindi un giovane sindaco di Firenze e, nel 2014, il più giovane presidente del Consiglio che l’Italia abbia mai avuto.

Il premier ha saputo farsi strada sgomitando tra potentati politici affermati e un partito – il Pd – piuttosto statico. Con lo spirito “rottamatore” dei suoi eventi alla Stazione Leopolda, Renzi è riuscito nell’incredibile impresa di far ricredere in un anno gli elettori del suo partito che alle primarie del 2012 non l’avevano ritenuto all’altezza di sceglierlo con un ampio consenso come proprio segretario.

Questo spirito rottamatore, lo spirito della Leopolda, permetterà a Renzi di esportare il modello del Renzismo anche a Bruxelles?

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