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I ragazzi del Parco del Buco di Tor Bella Monaca a Roma

Immagine di copertina

Si bucano sotto gli occhi degli operatori della Fondazione di Villa Maraini, angeli custodi del Mondo degli Invisibili romano. Li abbiamo incontrati. Ecco le loro storie

K. ha 23 anni e due grandi occhi nocciola, sbiaditi di speranza. Si è laureato in ingegneria del suono e ama la musica. E non fa più l’amore. Eppure ha grandi sogni: vorrebbe tornare a Londra, dove ha vissuto per un periodo, e ricominciare a vivere. Vorrebbe smettere, ma per lui non c’è nulla di meglio dell’eroina.

Mentre lo dice, si asciuga il rigagnolo di sangue che gli cola dal braccio, sbavato di un rosso che impregna la carta e grida alla vita, la stessa che K. butta via ogni volta che s’infila un ago nella pelle.

“Te fa esse n’eroe, ma poi nun te lascia niente”, spiega K. dopo essersi bucato, vestito di una serenità meccanica ed effimera. Si affaccia alla vita da quelle sue pupille corvine: due punte di spillo in estasi.

Lo ha fatto in macchina, in una radura del parco di Tor Bella Monaca, alla periferia di Roma, sotto gli occhi degli operatori della Fondazione Villa Maraini, una comunità per l’assistenza alla tossicodipendenza, nata nel 1976 nell’ambito della Croce rossa italiana.

Sono gli operatori dell’unità di strada che dal 1992, mediante un camper attrezzato, provvedono ogni giorno ad aiutare i tossicodipendenti in due punti strategici dell’area romana: il piazzale della stazione Termini e quello che viene chiamato il Parco del buco, nel quartiere di Tor Bella Monaca.

Sono gli angeli custodi nel mondo degli invisibili e il loro lavoro è fondamentale. Oltre a fornire agli utenti materiale sterile per ridurre il rischio di diffusione del virus HIV e delle malattie sessualmente trasmissibili, evitando lo scambio di siringhe e promuovendo l’uso del profilattico, gli operatori consegnano gratuitamente a chi ne fa richiesta il Narcan, un farmaco utilizzato per evitare le morti per overdose.

“La domenica non siamo presenti al parco”, spiega Anna, un’operatore di Villa Maraini. “Nel tempo i fondi per l’assistenza sono diminuiti, insieme al numero di ore nelle quali operiamo. E così un lunedì mattina abbiamo trovato un ragazzo morto per overdose nel parco: non siamo riusciti a salvarlo perché era weekend”.

Dal 1992 al 2015 gli operatori dell’unità di strada sono intervenuti con successo in 2.500 casi di overdose. Secondo i dati del registro della Fondazione, nell’ultimo anno (fino al mese di ottobre 2016) sono state distribuite 62.580 siringhe sterili, di cui il 65 per cento sono state rese dagli utenti e raccolte dagli operatori. Le siringhe disperse, in totale, costituiscono in media solo un 10 per cento del totale: un grande traguardo, che si basa sulla fiducia reciproca e sul lavoro di socializzazione realizzato dagli operatori.

(Qui sotto un’immagine del camper dell’unità di strada della Fondazione Villa Maraini, durante il turno pomeridiano alla stazione di Termini).

Come K., sono tanti i ragazzi che si fermano a chiacchierare con gli operatori. Qui non si sentono mai giudicati né tacciati di essere tossici. Il sostegno psicologico e l’assistenza sanitaria del personale qualificato è una garanzia importante per tutti quelli che si fermano al parco di Tor Bella Monaca per bucarsi dietro l’angolo o al chiuso di una macchina, bere un bicchiere d’acqua e scappare a lavoro.

Funziona così: un breve pit stop dal camper, per alleviare la propria esistenza con una pera e tornare a sorridere cantando a squarcia gola Vasco Rossi. Tutti chiedono un paio di siringhe o un’insulina e una fialetta di acqua distillata. Arrivano di fretta e aspettano educatamente il loro turno. Dal giubbotto tirano fuori le siringhe usate e le smistano nei contenitori. Salutano, e ripartono.

Alcuni cantano e ridono, altri dopo la dose non sono nemmeno in grado di guidare. È compito degli operatori monitorarli per quanto possibile. Se scelgono di ripartire, non possono farci nulla.

Secondo alcuni vicini la presenza della Fondazione a Villa Maraini a Tor Bella Monaca inciterebbe i tossicodipendenti a fare uso di sostanze. “Probabilmente non considerano che il quartiere è una delle principali piazze di spaccio della capitale e che il nostro lavoro è solo quello di arginare i danni”, spiega Anna. “Non mi sento complice quando distribuisco siringhe, perché il rischio di contrarre malattie da parte degli utenti costituirebbe un’ulteriore frustrazione per noi di Villa Maraini”.

Sembra un lavoro duro, ma sensibilmente appagante. Nel team dei volontari ci sono tre ex tossicodipendenti, formati con un corso specifico per poter assistere gli utenti. Nessuno meglio di loro è in grado di empatizzare con chi fa uso di sostanze, fornire sostegno psicologico e avvicinare gli utenti al centro di accoglienza e alla comunità terapeutica.

(Due operatori della Fondazione Villa Maraini mentre raccolgono le siringhe usate nel parco di Tor Bella Monaca. Credit: Fernanda Pesce Blazquez)

“Ho iniziato a fumare eroina qualche anno fa, quando mio padre è morto”, racconta K. mentre chiama Asia, il suo cane, che sfreccia in mezzo al verde di un parco che dal di fuori sembra davvero idilliaco. “Rosicavo quando vedevo che il mio amico stava più fatto di me, perché a me fumarla non faceva più nulla. Così ho iniziato a bucarmi, ma non si inizia mai da soli.”

K. lavora, fa il cameriere e prova a sopravvivere. Micaela è sulla quarantina, piercing su tutto il corpo e uno sguardo potente, nel quale rabbia e gioia fanno a pugni da sempre. È nata a Berlino, quando ancora il muro divideva i cuori, e all’anulare porta un anello che rappresenta il simbolo dello Yin e dello Yang, il giorno e la notte: la luce del suo sorriso sdentato e contagioso e il buio dell’eroina.

Dal camper passano una media di duecento utenti al giorno e non è il set di un film di Claudio Caligari. Spesso sono ragazzi ordinati, arrivano all’interno di belle macchine, hanno telefoni di ultima generazione, un bel lavoro e vestiti puliti. Persone normali, con una vita normale. Non lo si direbbe mai, ma sono in tanti: l’eroina non se n’è mai andata, e se ne deve parlare.

Secondo l’ultimo rapporto del dipartimento delle politiche antidroga il consumo di eroina è aumentato lievemente ma in maniera costante, riguardando nel 2015 circa 320mila persone.

C’è chi in vena preferisce la cocaina. È una scelta drastica, poiché la durata degli effetti (in media 15 minuti) è minore rispetto a quella dell’eroina, provocando forti allucinazioni. Uno dei tossicodipendenti a Tor Bella Monaca si gratta la gamba e tenta di sistemarsi l’orlo dei pantaloni con una frenesia ossessiva. Crede di avere addosso degli insetti e li cerca in mezzo alle pieghe dei suoi jeans. Non ha assolutamente nulla, ma nemmeno gli operatori riescono a fargli cambiare idea.

C’è chi addirittura si buca, iniettandosi l’acqua in vena: qualsiasi cosa, pur di alleviare il dolore e la voglia matta di una spada.

La stessa voglia di Martina, che ha 25 anni e si buca per evadere da un mondo in cui secondo lei c’è troppa cattiveria. Passa da Termini nel pomeriggio per ritirare qualche siringa dal camper. Sogna di fare la tatuatrice e legge Zecharia Sitchin; stropiccia le pagine del libro e parla di sumeri ed extraterrestri.

È curiosa, educata ed estremamente sensibile. Ha due occhi grandi e celesti aperti sul mondo. Ma è debole: quella sua curiosità non è ancora abbastanza forte da permetterle di guardare oltre e osare, per riscrivere la sua storia.

*Una versione precedente di questo articolo riportava un nome diverso da “K”, da noi modificato per proteggerne l’anonimato

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