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L’imprenditrice antiracket

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A Castelvetrano un'imprenditrice denuncia le estorsioni. La sostiene Libero Futuro, nuova associazione antiracket della città

A Elena Ferraro piace lavorare con la porta aperta. Dal suo ufficio di amministratore delegato può osservare i pazienti del centro sanitario Hermes andare e venire mentre si recano in laboratorio a fare i prelievi e le radiografie.

Elena ha 38 anni, una laurea in filosofia e dal 2005 gestisce il centro sanitario privato nella periferia di Castelvetrano, paese di circa 30mila abitanti nella provincia di Trapani.

Il 12 aprile 2012 dalla porta dell’ufficio di Elena entra un uomo coi baffi che, con un gesto inaspettato, chiude la porta alle sue spalle. “Buongiorno, sono Messina Denaro”, dice l’uomo.

Quale sia il suo nome poco importa: il cognome, per chi vive a Castelvetrano e nella provincia di Trapani, parla da sé. Mario Messina Denaro è cugino del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, fedelissimo di Totò Riina e latitante ormai da 21 anni.

Considerato l’attuale capo della cupola di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo per gli attentati mafiosi del 1993 a Roma, Firenze e Milano e può contare su un immenso patrimonio che la giustizia ha già colpito, sequestrando beni per 4 miliardi di euro.

Il capomafia, che nel 2011 è stato inserito dalla rivista americana Forbes nell’elenco dei dieci latitanti più pericolosi del mondo, è originario di Castelvetrano e secondo alcuni si nasconde ancora nei pressi del suo paese, dove la sua famiglia vive proprio a pochi isolati di distanza dalla clinica di Elena.

Mario Messina Denaro, cugino sessantunenne del boss, è da poco uscito di galera dove ha scontato una condanna per estorsione. Quel giorno chiede a Elena chi sia il responsabile della struttura sanitaria, anche se sa perfettamente che si tratta di lei. Inizia poi a farle capire che possiede già delle informazioni sul suo conto. Sa che Elena viaggia ogni mattina da un paesino vicino per arrivare a Castelvetrano e conosce gli orari dei suoi spostamenti. Infine, fa a Elena una proposta.

Lei avrebbe dovuto stipulare una convenzione con una clinica ortopedica della vicina città di Partinico e sovrafatturare i soldi che il centro le avrebbe versato, creando un fondo in nero destinato a mantenere le famiglie dei detenuti per mafia. Quando Elena, allibita, chiede a Mario se lui rappresenti qualcuno della clinica di Partinico, lui le risponde in dialetto: “Io non sono niente, non c’entro niente e non possiedo niente”. Elena chiede allora a che titolo Messina Denaro le faccia questa proposta. “Io sono il capo di tutto”, risponde lui.

Ma l’imprenditrice non sta al gioco e, nei giorni successivi, mentre le visite del cugino del capomafia nella sua clinica si fanno sempre più assidue e insistenti, lei e il suo socio (un medico radiologo di Sciacca) vanno a denunciare l’estorsione alla squadra mobile di Trapani. Iniziano mesi di tensione e paura per Elena, che vede Mario Messina Denaro entrare e uscire dalla clinica con la scusa delle analisi e ogni volta sente montare la rabbia dentro di sé.

La mattina del 13 dicembre 2013 scatta l’operazione Eden e tra i 28 destinatari della custodia cautelare in carcere, oltre al suo estorsore, c’è anche Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo e moglie di Vincenzo Panicola (arrestato nel 2010), e Francesco Guttadauro, 29 anni, “nipote del cuore” del boss.

Le prime sentenze arrivano a maggio, quando Mario Messina Denaro dovrà scontare 4 anni e 2 mesi di carcere per tentata estorsione. Insieme a lui vengono condannate altre sei persone, mentre altri restano in attesa di giudizio. La denuncia di Elena è un evento storico a Castelvetrano. Mai nessun imprenditore aveva accusato i suoi estorsori, per di più mettendosi apertamente contro un cugino del boss.

Dopo il suo gesto, altri due imprenditori castelvetranesi, Silvestro Perrone e Gaspare Renda, hanno seguito il suo esempio ed esposto denuncia. Al loro fianco si è schierata Libero Futuro, la prima associazione antiracket nata nel mese di marzo dall’unione di 15 imprenditori di Castelvetrano dietro iniziativa di Libera (associazione contro le mafie) e della FAI (Federazione antiracket italiana).

Nicola Clemenza, presidente dell’associazione, è un insegnante di scuola elementare e imprenditore che vive nella vicina Partanna. “L’obiettivo dell’associazione è far capire che la legalità paga e che ogni singolo cittadino con le sue scelte quotidiane ha la possibilità di contribuire”, spiega Nicola.

Per fare ciò, Libero Futuro accompagna gli imprenditori alla denuncia e li segue nel percorso giudiziario. Si avvale principalmente di due strumenti: la “denuncia preventiva” e il “consumo critico”. Con la prima gli imprenditori possono aderire a un elenco di attività commerciali che dichiarano di non pagare il pizzo: l’esperienza di Libero Futuro (che a Palermo esiste dal 2007) ha dimostrato che gli estorsori stanno lontani dai commercianti pizzofree, cosa che è stata confermata anche da molti collaboratori di giustizia.

Il secondo strumento è il “consumo critico”, frutto della scelta consapevole di consumatori che aderendo all’apposito manifesto online scelgono di fare i loro acquisti preferendo i prodotti delle aziende che non pagano il pizzo. Per Nicola Clemenza, la nascita di Libero Futuro a Castelvetrano è ciò che serve per svegliare le coscienze della gente per bene. “Le persone oneste sono più dei delinquenti” – dice – “il punto è che gli indifferenti fanno la differenza”.

Nicola si dedica alla produzione della nocellara del Belice, un’oliva particolarmente grossa e gustosa, riconosciuta marchio dop e coltivata prevalentemente nel triangolo compreso tra Castelvetrano, Partanna e Campobello di Mazara. Nel 2009 è riuscito a convincere 200 imprenditori agricoli locali a fondare il “Consorzio tutela valli belicine”, allo scopo di ottimizzare le dinamiche dell’imprenditoria agricola e della produzione olivicola, opponendosi al cartello mafioso che controlla il mercato dell’olio nella zona.

Il giorno dell’inaugurazione del consorzio, però, la sua macchina è stata incendiata e il fuoco ha provocato danni anche alla sua abitazione per un totale di oltre 27mila euro. La squadra mobile di Trapani, allora guidata dal vicequestore Giuseppe Linares, ha riconosciuto subito la matrice mafiosa dell’attentato e nel processo che è seguito, denominato “Golem 2”, è stato accertato che il mandante era Matteo Messina Denaro. A quel processo Nicola Clemenza si è costituito parte civile con accanto le associazioni antiracket di Palermo. Adesso pensa che sia suo dovere assistere gli altri imprenditori che denunciano: “Solo così Castelvetrano potrà dare l’idea di una città che vuole alzare la testa e riprendersi la sua dignità”.

Il sindaco di Castelvetrano, Felice Errante, ritiene che sia fondamentale trasmettere l’immagine di una città “normale”. “Il nostro paese è spesso ingiustamente descritto come un luogo in cui la cappa mafiosa esercita un controllo di tipo economico e istituzionale sul territorio. Questo scoraggia tutti gli imprenditori che potrebbero avere interesse a investire qui e non agevola il percorso di sviluppo e legalità che questa amministrazione e quelle precedenti hanno messo in campo da diversi anni”.

Un percorso già consolidato nel tempo, secondo il primo cittadino, che non può essere messo in ombra dalla recente condanna in primo grado dell’ex consigliere comunale e provinciale Santo Sacco, che il sindaco preferisce non commentare. Sacco, ex sindacalista che militava nelle file di Forza Italia/Pdl, dopo essere stato arrestato nel 2012, lo scorso marzo è stato condannato in primo grado a 12 anni di carcere per associazione mafiosa e estorsioni: secondo i giudici sarebbe stato a disposizione di Messina Denaro consentendogli di gestire iniziative imprenditoriali nel settore dell’energia rinnovabile.

Per il sindaco Errante, garantire la sopravvivenza alle imprese che denunciano è un “dovere sociale” e promette che l’amministrazione comunale farà di tutto per aiutarle. Il primo gesto concreto in tal senso è fornito dal regolamento comunale approvato nel 2012, che sospende per cinque anni il pagamento di tutte le imposte comunali per le imprese che denunciano le estorsioni.

Il sindaco ha anche voluto dare un segnale offrendo a Elena Ferraro un posto nella sua giunta, ma lei ha rifiutato. “Sono un’imprenditrice, la politica non è il mio mestiere”, racconta Elena. “Libero Futuro, l’associazione che abbiamo creato, non fa guerra alla mafia, quella la fanno lo Stato e le forze dell’ordine. Noi promuoviamo la legalità. Siamo imprenditori che vogliono fare il loro mestiere in tranquillità senza dare fastidio a nessuno e c’è una bella differenza.” Elena sostiene di aver fatto semplicemente il suo dovere. I suoi genitori le hanno inculcato una certa mentalità e lei è contenta di metterla in atto attraverso le sue scelte.

Oggi sente fortemente la solidarietà dei ragazzi di due scuole superiori di Castelvetrano, che sono sensibili al tema della legalità grazie a quella che definisce “l’attività meravigliosa” portata avanti dal preside e reggente di entrambe, Francesco Fiordaliso. “È importante la forma mentis che ti danno a scuola”, racconta Elena. “Io leggo molto”, aggiunge fiera. Anche la società castelvetranese le ha dimostrato solidarietà ma, troppo spesso, si è sentita dire: “Chi te lo ha fatto fare?”. La frase che fa più male.

A chi ragiona in questo modo, Elena risponde che la mafia non è solo un problema di coscienza, ma di sopravvivenza. Se non reagisci ti porta allo stremo e ti stritola. “Ci sono solo vantaggi a denunciare”, dice. E aggiunge: “Chi parla così non capisce. Dopo il mio gesto, altri due hanno denunciato e altri denunceranno. Questo vuol dire che i loro figli sono liberi. Vivranno in una terra in cui sanno che si può alzare la testa e dire di no”.

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