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La violenza sessuale

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I vestiti delle donne, la colpa delle vittime, il potere. I recenti casi di stupro a Nuova Delhi non sono una tragedia solo indiana

La violenza sessuale

Il 16 dicembre 2012 una studentessa indiana di 23 anni stava viaggiando con il suo ragazzo su un autobus di Nuova Delhi. Sei persone l’hanno attaccata e violentata a turno. Come se non fosse abbastanza hanno anche picchiato la coppia e hanno conficcato un pezzo di ferro nel corpo della ragazza, danneggiandole gravemente alcuni organi. I fidanzati sono stati poi spogliati e gettati fuori dall’autobus in corsa. Tra gli aggressori, secondo la polizia, un fruttivendolo, un autista di pullman e un istruttore di palestra. La ragazza, il cui nome non è stato rivelato, a causa delle ferite riportate durante lo stupro è morta in un ospedale di Singapore dove era stata trasportata per i primi soccorsi. Durante il volo per arrivare al pronto soccorso aveva avuto un attacco cardiaco, i suoi polmoni e il suo addome si erano gravemente infettati e aveva riportato danni cerebrali.

Un altro caso di stupro: una ragazza di 17 anni vittima di violenza si è suicidata il 28 dicembre, la polizia le stava mettendo pressione per far cadere le accuse contro i suoi aggressori e sposarne uno. Una terza violenza: il 4 dicembre 2012 una bambina hindu di 6 anni, Vijanti Meghwae di Umerkot-Pakistan, è stata stuprata; i giornalisti che hanno riportato l’accaduto sono stati minacciati di morte dagli autori dell’aggressione. È stata creata una raccolta di firme per rendere giustizia a Vijanti.

Un quarto caso: il 23 dicembre scorso un’altra ragazza di Umerkot è stata violentata da un leader politico del Pakistan People’s Party, con l’ausilio di due complici che controllavano la porta durante lo stupro; anche la madre della ragazza è stata torturata. Quando è stata annunciata la morte della 23enne, chiunque fosse già a conoscenza della situazione o l’avesse appena appresa è rimasto scioccato. È stato un caso che la vicenda abbia interessato l’opinione pubblica, probabilmente il merito è stato delle numerose proteste di massa che si sono levate in quei giorni in India. Sono iniziate il giorno dello stupro e sono continuate a oltranza. I manifestanti chiedevano punizioni severe per gli stupratori, la pubblicazione dei loro nomi, e inneggiavano alla pena di morte.

Lo stupro di Nuova Delhi: “La tragedia delle donne Indiane” (Women’s Power Hub). Il pericolo di essere donna in India (Cnn).

“Lo stupro di Nuova Delhi racconta il pericolo di essere donna in India”, si legge nel titolo della Cnn… così come sono più sicure in altri posti, così sono in ‘pericolo’ in India! Ma la Cnn non è l’unica fonte sul web che diffonde ignoranza sulla rete. Su Twitter il Women’s Power Hub ha twittato: “#sexuarevolutionplus Lo stupro di una studentessa di medicina sul bus scuote l’India: la tragedia delle donne indiane”.

Cosa! Questa non è la “tragedia delle donne Indiane”! Non fa schifo essere una donna indiana (nonostante quello che molti scrivono su Facebook e Twitter), e Nuova Delhi non è “il posto meno sicuro del mondo”; né le donne indiane sono più in pericolo di quanto lo siano altrove a causa degli stupri avvenuti a Nuova Delhi . Come ha twittato Demon Lily: “Se l’India deve ricevere attenzioni speciali, deve essere per le proteste. Le donne indiane hanno mostrato la loro rabbia”. Si! Gli stupri ricevono poche attenzioni dai media, in questo caso l’unica cosa buona è stata lo sgomento dell’opinione pubblica, la sete di giustizia e la voglia di un trattamento migliore per le donne.

Le assurde dichiarazioni fatte in risposta agli stupri di Nuova Delhi hanno rafforzato l’idea colonialista e orientalista della ‘donna indiana’ che ha bisogno dell’ ‘uomo bianco’ per essere salvata dall’ ‘uomo indiano’. Come dovremmo misurare l’indice di sicurezza di una città per una donna? Facendo passeggiare di notte ragazze che indossano quello che vogliono senza che si sentano spaventate? Senza temere attacchi in ogni momento, senza temere persone in agguato pronte ad aggredirle? Così è come tutte le città dovrebbero essere, indiane o meno. Non voglio paragonare città e tassi di criminalità, non è questo il punto. Chi sta facendo analisi sulla “tragedia delle donne indiane” dovrebbe chiedersi: quante città americane possono fare sentire una donna sicura, mentre indossa e fa quello che vuole passeggiando la sera tardi? Non riesco a trovarne nessuna. Ma quando sentiamo di donne americane vittime di stupri, chi ha il coraggio di parlare di “tragedia delle donne americane”? E allora perché è accettabile farlo in altri contesti?

Non sto dicendo che non dobbiamo evidenziare il caso indiano, ma che non dobbiamo isolarlo e presentarlo come una tragedia delle sole donne indiane. Perchè non è solo una loro tragedia. È una tragedia universale, e le donne sole non sono sempre le vittime: lo sono anche gli uomini. Negli Stati Uniti 1 uomo su 33 è stato almeno una volta nella vita vittima di molestie sessuali. Per le donne il numero sale a 1 su 6. Chiaramente questo è solo quello che viene riportato, e tutti sappiamo che non tutte le aggressioni e gli stupri vengono denunciati; nemmeno negli Stati Uniti.

Anche se un numero minore di uomini è vittima di violenza sessuale rispetto alle donne, anche loro ne soffrono, e penso non sia giusto paragonare chi soffre di più, perché non è nemmeno questo il punto. Il punto è che le vittime di violenze sessuali ne risentono a livello emotivo, mentale, fisico, e noi come razza umana dobbiamo fare qualunque cosa per fermare gli stupratori e gli altri criminali. Dobbiamo smettere di giustificare quello che accade e dare la colpa alle vittime.

Il 24 dicembre 2012 lo Swaziland, un Paese confinante con Mozambico e Sudafrica, ha messo fuori legge le minigonne e altri capi per donne, perché “L’atto dello stupro è facilitato, in quanto è più semplice rimuovere mezzi vestiti”; lo stesso portavoce del governo ha continuato: “Ho letto sui social network che sia gli uomini che le donne hanno la tendenza a ‘svestire le persone con gli occhi’. Questo è più semplice quando i vestiti aiutano a farlo, quando sono aderenti o mostrano alcune parti del corpo”. La persona che ha fatto queste dichiarazioni ha puntato il dito contro i vestiti rivelatori: “le donne che li indossano sono responsabili degli stupri nei loro confronti”.

Quest’idea è molto popolare tra molte, se non tutte, le società, a prescindere dalla loro morale e religione. Alcuni musulmani arrivano ad affermare che l’hijab, un copricapo indossato da molte donne, le protegga da violenze e stupri. Visto che questa credenza è troppo comune va discussa in modo approfondito, non ne parlerò qui ma in una serie di interventi sulle molestie sessuali che ho iniziato a scrivere. Comunque, vorrei indirizzare i lettori a un articolo intitolato: “The Myth of How the Hijab Protects Women against Sexual Assault”.

Nel frattempo vorrei sottolineare che lo stupro non riguarda il soddisfare le urgenze sessuali maschili e non ha nulla a che vedere con i vestiti delle vittime. Tenete a mente che anche gli uomini vengono stuprati, e anche i bambini: non importa cosa indossano. Le statistiche dimostrano che negli Stati Uniti meno del 7 per cento delle ragazze sotto i 29 anni sono state violentate; gli stupri, le molestie, e gli altri abusi sessuali sono commessi nelle nazioni dove le donne si coprono dalla testa ai piedi. Il Pakistan è il primo esempio; io vengo da una parte del Paese dove le donne devono coprirsi completamente dalla testa ai piedi, ma le violenze sono ancora all’ordine del giorno. A causa dei concetti di vergogna e onore, gli stupri vengono raramente denunciati.

Ma il Pakistan è solo uno degli esempi che provano che il principio ‘il vestito fa scattare la violenza’ è sbagliato. Quindi, ancora, non bisogna dire che c’è una sola ragione per cui gli uomini stuprano. Le donne che sono sole, vulnerabili (fisicamente, mentalmente, emotivamente) hanno una maggiore possibilità di subire abusi. Difficilmente le violenze commesse da completi sconosciuti superano il 9 per cento dei casi, la maggior parte avvengono in famiglia; non tutti gli stupratori sono uomini, anche se in percentuale minore, anche le donne violentano.

Il discorso precedente supporta la tesi che violenze e altri abusi sessuali non riguardano i vestiti della vittima: riguardano potere e supremazia. Fanno sentire gli aggressori come dei vincitori che hanno il controllo, il potere su una vittima che nella sua mente è già sconfitta. A prescindere che a stuprare sia un uomo o una donna: tutti e due attaccano infatti persone che ai loro occhi sono vulnerabili. Gli psicologi credono che i violentatori soffrano di una specie di trauma e di disturbi della personalità forse dovuti agli abusi o violenze sessuali che molti di loro hanno subito precedentemente. La natura ciclica dello stupro è stata ampiamente discussa tra accademici e professionisti (leggete, per esempio, The Female Fear: The Social Cost of Rape di Margaret Gordon e Stephanie Riger) ma serve creare anche un dibattito, un’opinione all’interno della società. Mentre ci sono sicuramente molte ragioni (o forse nessuna?) per cui le violenze sessuali esistono, il concetto per cui derivano dall’abbigliamento delle vittime non ha nessun senso.

Gli stupri, come tutte le altre forme di abusi, avvengono perché la società lo permette. Come razza umana, non siamo ancora d’accordo sul fatto che lo stupro sia sempre colpa di chi assale, mai delle vittime. C’è qualcosa chiamato sesso e qualcos’altro, assolutamente non giustificabile, chiamato stupro. Le persone vogliono fare sesso, non essere stuprate. Lo stupro è la violazione del corpo, della dignità, dell’esistenza. Quando qualcuno tocca una persona senza il suo consenso, commette molestia fisica, o sessuale se tocca una parte intima con la forza; diventa stupro quando è coinvolta anche la penetrazione.

Ricapitolando, una donna che indossa una minigonna non vuole essere stuprata; non lo merita. E no, è falso che un uomo non riesce controllare i suoi istinti e ciò che ne deriva è lo stupro. Non è nella nostra natura ferire, umiliare, spaventare e cambiare per sempre la vita di qualcuno solo perché si è eccitati. Lo stupro riguarda la supremazia. Lo stupro riguarda il potere.

Stupri coniugali: sesso contro il volere del partner (solitamente la moglie).

La definizione di stupro è: “sesso non desiderato con una persona”. Questo suggerisce che anche i mariti possano violentare le proprie mogli. Lo stupro viene chiamato coniugale nel momento in cui le due parti coinvolte sono sposate. Poche società sono a conoscenza che anche questo è un reato; negli Stati Uniti è stato legale fino al 1984 quando è diventato un crimine perseguibile legalmente, in Scozia è diventato fuorilegge nel 1991. Si, nel 1991, nel Regno Unito.

“Stupro coniugale? Come fai a violentare tua moglie?”. Esattamente! Come si fa? È molto semplice: lo stupro coniugale lo commette il marito che pretende (quindi fa) sesso quando la moglie non è dell’umore adatto, quando implicitamente o esplicitamente dice che in quel momento non ne ha voglia. Ma il marito tenta comunque di ricattarla: “Non sei mai dell’umore adatto” o “Ricordati, se non vado a letto soddisfatto sarai maledetta tutta la notte” o “Ricordati, se non fai sesso con me quando lo voglio commetti un peccato gravissimo, è un tuo obbligo nei miei confronti”.

Solo perché una donna è entrata in intimità con un uomo, suo marito, non significa che lui la possegga e la possa toccare ogni volta che vuole; se quando la tocca lei è d’accordo allora è sesso, quando non lo è diventa una violazione del corpo, della diginità, della mente.

Questo è stupro della propria donna. Stupro coniugale. Capite che una moglie, come un marito, dovrebbe sentirsi al sicuro al’interno del proprio matrimonio, e un marito non dovrebbe mai forzarla; quando lo fa, viola il suo corpo perché quello appartiene alla donna, a nessun altro. Nessuna moglie dovrebbe essere intrappolata, forzata o costretta ad andare a letto con suo marito quando non è dell’umore o semplicemente non ne ha voglia. E lo stupro non è la risposta.

Sebbene non ho dubbi che molti mariti violentino le proprie mogli per dimostrare a loro stessi e alle donne il loro ‘potere’, il loro ‘controllo’ e insegnare che le donne non possono ‘dire di no’, alcuni lo fanno per ignoranza, perché non sanno che è moralmente sbagliato. Questa è la ragione per cui dobbiamo parlare apertamente degli stupri coniugali, dichiarare che sono completamente inaccettabili e smettere di manipolare le credenze religiose per giustificarli. Dobbiamo farlo con tutti gli abusi sessuali.

La morte, la tragedia, una possibile lezione per tutti.

Abbiamo perso almeno due vite in un solo giorno a seguito di due stupri. Possano queste due ragazze, e tutte quelle di cui non sentiamo parlare, riposare in pace, e possano anche le loro famiglie trovare la forza di andare avanti mentre cercano di capire cosa gli è successo, perché gli è successo. Possano questi tragici episodi e queste sofferenze servire a ricordarci quanto ancora dobbiamo lavorare per portare giustizia a tutte le vittime, sia come razza umana che come comunità ogni giorno più connessa. Ma facciamo anche un plauso alle dimostrazioni indiane, alle persone che stanno lottando per la giustizia e mettiamoci al loro fianco. Non facciamo generalizzazioni e non arriviamo a conclusioni su intere società e Paesi a causa di qualche caso isolato, riconosciamo che nessun corpo umano merita questo trattamento. Mettiamoci al fianco delle vittime e lottiamo contro i violentatori e assicuriamoci, nel nostro piccolo, che ci sia giustizia. Ricordiamoci che queste donne non erano nostre sorelle, madri, mogli, figlie, cugine, amiche, ma erano esseri umani, e avevano il diritto a una vita giusta come chiunque. Non dobbiamo combattere per la loro giustizia solo perché abbiamo affetti femminili e non vogliamo vedere nessuno dei nostri cari in quelle condizioni, dobbiamo combattere per i loro diritti alla sicurezza e a un giusto trattamento perché sono esseri umani, come tutti noi.

Dal blog di Orbala per The Post Internazionale
Traduzione di Samuele Maffizzoli

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